Amianto: Sentenze

Venezia, trent’anni a pilotare la barca con amianto: ora l’hotel Cipriani deve risarcire i figli

Il primo caso per un motoscafista morto di mesotelioma pleurico: 629 mila euro agli eredi. La perizia: entità modesta di amianto ma significativa visto il tempo di esposizione

La Corte d’appello condanna l’hotel Cipriani a risarcire i figli di un suo ex motoscafista con 629 mila euro. L’uomo che per oltre trent’anni, dal 1970 fino al 2003, ha accompagnato i vip di tutto il mondo da una parte all’altra della laguna a bordo del motoscafo del blasonato albergo veneziano, nel 2013, all’età di 72 anni, si è spento dopo mesi di agonia per essersi ammalato di mesotelioma pleurico, anche detto il «tumore dell’amianto». P.V. oltre a trascorrere l’intera giornata lavorativa pilotando l’imbarcazione dell’hotel si occupava spesso di piccoli interventi di manutenzione della barca, quella stessa nella quale sono state rilevate tracce di amianto tanto in varie parti del vano motore quanto nel suo rivestimento esterno. Per questo nel 2018 l’avvocato veneziano Enrico Cornelio, per conto della moglie di P.V. (nel frattempo venuta a mancare) e dei suoi due figli, aveva presentato sia un ricorso al tribunale di Venezia affinché gli eredi venissero risarciti per la sofferenza patita dal loro marito e padre prima di morire, sia avviato una causa civile che ripagasse i danni subiti per la malattia provocata dall’esposizione all’amianto

Poco amianto ma esposizione significativa

La sentenza di primo grado aveva stabilito che l’hotel Cipriani dovesse risarcire i parenti del defunto con circa 165 mila euro, saldo che la Corte d’appello ha ora innalzato a 629 mila euro, di cui 318 mila saranno destinati al primo figlio e 311 mila al secondo. Nel corso della perizia tecnica eseguita nel 2018 era stata individuata una sola fibra di amianto nelle parti di legno prelevate dall’interno della motoscafo, un’entità modesta ma «particolarmente significativa considerato il tempo trascorsovi a contatto», come indicò il professionista incaricato dal giudice, l’ingegnere Zipponi. 

Il primo caso per un motoscafista

Il nesso di causa tra il contatto prolungato con l’eternit e il decesso è sempre stato negato dall’hotel Cipriani, difeso dall’avvocato Matteo Fusillo, il quale dovrà comunque risarcire i figli del proprio ex dipendente ora che la Corte d’appello ha confermato la sentenza emessa dal giudice del lavoro Chiara Coppetta Calzavara nel 2019. Fino al momento della prima sentenza che ha riconosciuto le cause del decesso di P.V., le morti per amianto erano sempre state ritenute un problema dei lavoratori in ambito industriale portuale, mai della categoria dei motoscafisti, nesso in cui ha creduto fortemente fin da subito l’avvocato Corne

Amianto killer, 1.800 casi in 26 anni. Giustizia-lumaca: un indennizzo l’anno

Vittime dell’amianto, l’Inail viene nuovamente condannata. La sentenza è relativa ad un caso di decesso nel trapanese, ma siamo alla punta dell’Iceberg. In Sicilia i casi di mesotelioma sono 200 l’anno, ma i casi giudiziari che passano per l’Ona sono appena uno ogni 365 giorni

La nuova condanna all’Inail

Mesotelioma maligno epitelioide. Questo è il nome specifico della malattia che ha stroncato la vita di un lavoratore deceduto circa tre anni fa. Questo tumore si è sviluppato per via dell’esposizione prolungata alle fibre di amianto avvenuta durante i 50 anni di attività del lavoratore, prima come meccanico frigorista, poi nel cantiere navale di Trapani. A stabilirlo è la Corte d’Appello di Palermo, che ha ribaltato la sentenza di primo grado del Tribunale di Marsala e ha condannato l’Inail a risarcire la vedova del defunto. La donna riceverà anche una rendita dal valore di circa 45 mila euro, in aggiunta agli arretrati. In merito al risultato giudiziario Bonanni commenta: “Le malattie da amianto sono ancora sottostimate, ci sono una serie di tumori che sono molto più frequenti rispetto all’entità valutata che la fibra killer ha provocato, soprattutto per gli operatori dei cantieri navali e di altre aziende”.

Amianto, 3.366 sono stati “esposti” I parenti delle vittime: non molliamo

Dopo la notizia dell’archiviazione per 52 decessi sospetti attorno alla Eternit di Rubiera: “Siamo delusi. Ora studieremo le motivazioni, ma siamo pronti a ripartire da cause singole e fatte molto bene

La chiamano ’la corte degli esposti’: sono tutti coloro che hanno fatto parte della produzione di manufatti di cemento amianto, negli anni in cui era legale farlo. E lo è stato fino al 1992, quando una legge lo ne ha vietata la produzione in tutta Italia. Nella provincia di Reggio Emilia questa corte conta 3.366 addetti: impossibile, invece, quantificare quanti vi siano venuti a contatto in maniera collaterale; perché vivevano vicino a una fabbrica, perché lavavano a casa le tute dei mariti o perché quelle fibre d’amianto erano nell’aria o negli oggetti più comuni e innocenti che potessero entrare in casa: come i fornetti-giocattolo per bambini.

In Emilia-Romagna c’erano dieci aziende che producevano lastre di amianto, tra gli anni Sessanta e il 1992; di queste dieci otto erano in territorio reggiano. Quello che può aver fatto la differenza – una differenza fra la vita e la morte – è l’aver fatto rispettare le norme di sicurezza in azienda; regole che già erano in vigore dal 1956: non soltanto usare le mascherine, ma evitare che si sollevassero polveri, abbatterle immediatamente, l’inumidimento materiali, l’effettuare pulizie con aspiranti, il separare i materiali pericolosi dagli altri, il fatto di non consumare i pasti sui luoghi di lavoro e non portare a casa gli indumenti da lavare.

La notizia dell’archiviazione (anticipata ieri dal Carlino) datata gennaio 2021 del fascicolo per omicidio colposo di 52 presunte vittime d’amianto – gravitate intorno alla Icar spa (poi divenuta ‘Industria Eternit Reggio Emilia’) sulla via Emilia a Rubiera – è rimbalzata tra gli addetti ai lavori e familiari delle vittime. Sul registro degli indagati c’erano Stephan Ernst Schmidheiny (ultimo proprietario della Eternit) e Luigi Giannitrapani (ex ad dell’Eternit di Rubiera). Ma il gip del tribunale di Reggio, su richiesta del pm, ha archiviato tutto: “Impossibile attribuire agli indagati la responsabilità per le morti delle persone offese a causa della inalazione dell’amianto per la mancanza di accertamento del nesso di causalità tra il momento della incubazione e quello della morte”, dicono i magistrati