Amianto : Sentenze

Antonio Balestrieri morto per l’amianto: condanna confermata per l’imprenditore svizzero

“I polmoni degli operai si riempivano del liquido pleurico del mesotelioma e morivano ad uno a uno. Poi anche i loro familiari, perché lavavano le tute”. Una sentenza che “conforta un po’, dopo la delusione del primo grado”, commenta il presidente dell’Osservatorio nazionale amianto

Il magnate svizzero Stephan Ernest Schmidheiny è stato riconosciuto colpevole per la morte di Antonio Balestrieri, uno degli operai dello stabilimento Eternit di Bagnoli, a Napoli, deceduto a causa di prolungata esposizione all’amianto.

La corte d’assise di Appello di Napoli ha infatti confermato la condanna a 3 anni e mezzo di carcere inflitta già in primo grado all’imprenditore 76enne per omicidio colposo. “La sentenza ci conforta un po’, dopo la delusione del primo grado, le cui richieste dei pubblici ministeri sono state in gran parte disattese”, commenta l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto che ha reso nota la sentenza.

Operai morti ad uno ad uno, poi anche i loro familiari”

“Il processo – spiega la nota dell’Osservatorio – ha evidenziato come l’uso dell’amianto fosse senza cautele, privo di confinamento e con le maestranze ignare e sprovviste di mezzi di protezione. Sia all’interno dello stabilimento che all’esterno c’era amianto in sacchi di juta privi di chiusura ermetica scaricati dalle navi senza che i lavoratori fossero a conoscenza del rischio. Gli operai si ammalavano di asbestosi, perché avevano i polmoni pieni di polvere, che si riempivano di liquido pleurico, quello del mesotelioma. E così, giorno dopo giorno, i necrologi all’ingresso dello stabilimento, e nelle zone circostanti del quartiere Bagnoli, a Pozzuoli e al Vomero. Così uno ad uno, gli operai sono tutti deceduti, e poi anche i loro familiari, perché lavavano le tute, o perché respiravano le polveri dai capelli e dalla pelle”.

Il processo cosiddetto Eternit Bis è diviso in 4 filoni, scaturiti dalle varie inchieste sull’ex stabilimento. Il primo processo Eternit si è chiuso 10 anni fa con la dichiarazione di avvenuta prescrizione per il reato di disastro ambientale da parte della corte di Cassazione e l’annullamento delle condanne per gli imputati. La sentenza di oggi, rappresenta invece “un ulteriore tassello per assicurare giustizia alle vittime dell’amianto”, secondo Bonanni. Confermata anche la fondatezza della richiesta di risarcimento del danno dell’Osservatorio, costituitosi parte civile con l’avvocata Flora Abate. 

Operaio di Livorno morto per l’esposizione all’amianto: famiglia risarcita per 600.000

L’ex dipendente del Cantiere Orlando è deceduto a 66 anni, un anno dopo l’insorgenza della malattia. Condannato il colosso Fincantieri

LIVORNO. Nel 2015 gli è stata diagnosticata «un’eteroplasia polmonare destra, tipizzata in carcinoma polmonare con cellule squamose». Un anno più tardi, purtroppo, è morto a 66 anni. Quella malattia – secondo il tribunale – l’ha contratta al lavoro, al Cantiere Orlando. Dopo quasi dieci anni dalla tragedia Fincantieri è stata condannata in primo grado dal giudice del lavoro di Livorno a risarcire la moglie e il figlio dell’operaio livornese, assistiti dall’avvocata Antonella Faucci, per 599.510 euro fra danni patrimoniali e non patrimoniali e al pagamento di 12.296 euro di spese di lite, che con gli interessi in realtà salgono a circa 640.000 euro.

L’uomo – come si legge nel dispositivo pubblicato il 25 giugno – aveva lavorato nel Cantiere navale dal 1974 (da quando aveva 24 anni) al 2000, quando è andato in pensione. Fino al 1982 come marinaio ponteggiatore, dall’82 all’84 come carpentiere in ferro, dall’84 all’86 di nuovo come marinaio ponteggiatore e dall’87 al ‘95 in qualità di montatore impianti. La società, nel 1984, era stata rilevata da Fincantieri. In qualità di ponteggiatore «ha lavorato sia a bordo di navi che all’interno dei capannoni – recita la sentenza – sia nella fase di costruzione delle navi che in quella di riparazione. I lavoratori con la qualifica di ponteggiatore, accedevano in modo non occasionale, ma prestabilito ed organizzato, a bordo delle navi in riparazione. L’esposizione si sarebbe quindi verificata durante le attività lavorative sopra descritte. Lui aveva lavorato in precedenza in vetreria, addetto alla produzione (dal 1965 al 1967) e come tubista (periodo dal 1971 al 1974). Sia per quanto riguarda il lavoro in vetreria, che come tubista, è verosimile che abbia avuto contatto con materiali contenenti amianto. Infatti nel passato, l’industria del vetro ha fatto largo uso di materiali contenenti amianto, dalle coibentazioni dei forni a bacino ai materiali di consumo. L’industria del vetro cavo meccanico, così chiamato per distinguerlo dal vetro cavo artistico, faceva uso di tessuti per il rivestimento delle parti di macchine che avevano contatto con il manufatto appena formato, e quindi ad una temperatura tale che qualsiasi contatto con materiali conducenti il calore ne avrebbe provocato il rapi do raffreddamento e quindi la rottura. L’amianto aveva quindi la funzione di termoisolante e di conseguenza veniva interposto tra le parti metalliche e i manufatti di vetro».