Amianto : Sentenze

Morirono d’amianto lavorando sui treni alle Ogr di Torino, medico delle Ferrovie a processo 50 anni dopo

Accusato del decesso di sedici dipendenti in servizio negli anni 70, è l’unico rimasto in vita dei presunti responsabili aziendali. Le vittime erano meccanici e verniciatori che respirarono le fibre tossiche delle carrozze

Oggi le Officine grandi riparazioni (Ogr) sono state bonificate e trasformate in un polo culturale in cui si organizzano eventi. Ma c’è stato un tempo in cui negli spazi tra via Castelfidardo e via Boggio si riparavano locomotive, automotrici e vagoni ferroviari. Un tempo in cui centinaia di operai lavoravano a contatto con la polvere di amianto. Ed è quell’epoca in bianco e nero a essere raccontata — mezzo secolo dopo — nelle aule del Tribunale di Torino, dove è in corso un processo che racchiude le storie di sedici operai che si sono ammalati e poi sono deceduti a causa della fibra killer.

Il dibattimento è approdato davanti ai giudici una decina d’anni più tardi rispetto all’inchiesta avviata dall’allora procuratore aggiunto Raffaele Guariniello e sotto accusa c’è solo un imputato: un medico di 84 anni, un libero professionista che tra il 1970 e il 1979 venne chiamato da Ferrovie come consulente esterno. All’uomo, difeso dagli avvocati Alberto Mittone e Fabiana Francini, la Procura di Torino contesta il reato di omicidio in cooperazione colposa con direttore, dirigenti e capi officina: quest’ultimi, però, sono tutti deceduti. Al professionista viene rimproverato di «non aver sottoposto i lavoratori a visite mediche allo scopo di accertarne l’idoneità fisica e non aver ripetuto le visite a intervalli regolari». Non solo, in qualità di «consulente» non avrebbe coadiuvato il datore di lavoro «nell’individuazione e nell’adozione dei rimedi contro la diffusione e l’inalazione delle fibre di amianto» e svolto «il proprio ruolo di controllo, vigilanza e segnalazione rispetto all’inadempimento degli obblighi e rimedi previsti dalla legge» per evitare la presenza di amianto: «regolare e sistematica pulitura delle attrezzature con aspiratori e procedure per evitare la manipolazione manuale delle fibre». 

Agente penitenziario respirò amianto e morì per un mesotelioma: il Tar condanna il ministero a risarcire il figlio

Massa: a causare il male fatale le polveri d’amianto respirate, mentre era in servizio di sorveglianza di alcuni detenuti al lavoro nel lanificio di un carcere negli anni ’70 e ’80

Firenze, 14 ottobre 2024 – Il Tar della Toscana ha condannato nei giorni scorsi il ministero della Giustizia a risarcire il figlio di un agente di polizia penitenziaria di Massa, morto nel 2017 per un mesotelioma maligno. A causare il male fatale le polveri d’amianto respirate, mentre era in servizio di sorveglianza di alcuni detenuti al lavoro nel lanificio di un carcere negli anni ’70 e ’80.

La pronuncia suscita la reazione del segretario generale del sindacato della polizia penitenziaria, Aldo Di Giacomo, che in una nota ad accendere un faro sul tema più generale delle malattie contratte sul luogo di lavoro. “È sicuramente un caso limite gravissimo quello dell’agente, deceduto nel 2017, per il quale il Tar della Toscana ha chiesto che il ministero predisponga un risarcimento al figlio, dopo che per 18 anni ha controllato i detenuti impegnati in un lanificio, dove è stato costretto a respirare le polveri di amianto- afferma Di Giacomo- oltre alla famiglia dell’agente e al lungo tempo necessario per fare giustizia, il nostro pensiero va alle migliaia di lavoratori penitenziari che contraggono malattie professionali nello svolgimento del proprio dovere istituzionale”. In questo senso, denuncia il segretario del sindacato, “si registra il forte aumento, del 120% annuo, delle malattie professionali e di conseguenza delle assenze per malattia per effetto delle pesanti condizioni di lavoro degli agenti, oltre che di aggressioni e violenze da parte di detenuti. Fa specie che la sicurezza sui posti di lavoro sta facendo passi da gigante su tutti i luoghi di lavoro, ma nelle carceri siamo fermi a strumenti e mezzi del tutto superati. Anzi si ritiene sufficiente dotare gli agenti di guanti, scudi e videocamere per fronteggiare i quotidiani pericoli”. Di Giacomo auspica piuttosto l’adozione di un “piano straordinario” che consideri tutti i fattori di rischio.

Bari, muore un ex bambino della Fibronit: «Grazie ai signori dell’amianto»

BARI – «Dobbiamo ringraziare i signori dell’amianto». Sono le parole pronunciate dalla sorella di quella che potrebbe essere l’ultima vittima della Fibronit, l’ex fabbrica di cemento amianto nel cuore del quartiere Japigia che dagli anni Novanta ad oggi potrebbe aver causato più di 700 morti.

L’ultima vittima, un 60enne, ha sempre vissuto in via Caldarola, a due passi dalla fabbrica, nella cosiddetta «zona rossa», cioè la porzione di territorio che si stima sia stata contaminata dall’amianto della Fibronit, provocando centinaia di casi di mesotelioma, asbestosi, tumore ai polmoni e altre patologie correlate all’amianto. Le sue parole sono state riferite dalla sorella, in lacrime, a Nicola Brescia del Comitato cittadino Fibronit. «Quando sembrava che l’amianto stesse tirando un po’ il freno, ecco che ti giungono notizie che ti spengono la speranza – dice Brescia – L’insorgenza di un nuovo caso con i familiari che ti chiedono aiuto per supportarli in questa situazione e la scomparsa di un nostro concittadino che ancora non aveva compiuto 60 anni. Era uno di noi, da sempre residente a Japigia. Non è stato facile raccogliere la testimonianza di sua sorella che in lacrime mi ha descritto le ultime ore di suo fratello. “Dobbiamo ringraziare i signori dell’amianto”, queste le sue parole per testimoniare la sua rabbia per la perdita di un fratello giovane e ancora pieno di speranze per il futuro. Non dirò i loro nomi perché non è necessario dare un nome alla sofferenza di queste famiglie, è sufficiente sapere che i mali dell’amianto ancora, purtroppo, non segnano il passo».