Amianto : Sentenze

Ucciso dall’amianto: la morte di Dioniso Merli risarcita dall’Inail

Si tratta di 150mila euro che andranno alla famiglia e anche al fondo per le vittime dell’amianto: il lavoratore delle ferrovie morì a 64 anni a San Benedetto dopo essere stato esposto per una vita alla sostanza killer

Nel 2020 i familiari, assistiti dall’avvocato del Foro di Roma, Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, hanno presentato ricorso innanzi il Giudice del Lavoro del Tribunale di Teramo. Dall’istruttoria del processo è emerso che tutte le locomotive delle Ferrovie dello Stato, nel periodo di lavoro di Merli, avevano l’involucro esterno e parte delle zone interne spruzzate con amianto che serviva a proteggere dal rischio incendio, e che tuttavia determinava il rilascio di polveri e fibre contaminando tutto l’ambiente lavorativo della sala macchine. E’ stato anche evidenziato che il Merli oltre ad aver lavorato prima come aiuto macchinista, poi come macchinista, svolgendo essenzialmente la mansione di conduzione di vettori ferroviari, aveva svolto manutenzioni con cadenza settimanale che consistevano nello svolgimento delle attività di “visite normali”, e cioè la verifica da parte del macchinista degli organi tecnici consistenti nello smontaggio e rimontaggio dei pannelli contenenti amianto e le attività di “visite ridotte”, consistenti in ulteriori verifiche delle funzionalità del mezzo di trazione e dei suoi apparati.

Inoltre il lavoratore aveva svolto altri interventi giornalieri, con esposizioni indirette e per contaminazione dell’ambiente lavorativo essendo le cabine dei mezzi di trazione prive di aspiratori localizzati delle polveri, fumi e residui della combustione.

Esaminate le prove dell’esposizione alla fibra killer in sinergia con altri cancerogeni, e le perizie del consulente tecnico d’ufficio (CTU), il tribunale di Teramo ha accolto la richiesta condannando l’ente previdenziale.

Il giudice del Lavoro ha dichiarato che “il tumore del polmone di Dionisio Merli è di origine asbesto correlata, e che perciò ha maturato il diritto all’erogazione delle prestazioni tutte e con quelle aggiuntive del Fondo Vittime Amianto, in favore delle odierne ricorrenti, quali sue eredi legittime, rispettivamente vedova e figlia, e quindi in quota parte del 50% per ognuna di loro, la moglie Liviana Tattoni e la figlia Olga Merli”.

La somma riconosciuta come risarcimento alla famiglia del lavoratore, dicevamo, ammonta a 150mila euro: la somma è stata calcolata tre le rate arretrati, la rendita di reversibilità per la vedova del signor Merli le e maggiorazioni che sono destinate al fondo istituito per le vittime.

Verona, l’amianto al lavoro lo uccise: la condanna dei responsabili arriva quando sono già morti

Giordano Adami ha perso la vita 57 anni nel 2010: lavorò 9 anni alle Officine grandi riparazioni di Ferrovie

Giordano Adami è morto a soli 57 anni il 10 aprile 2010 senza avere giustizia. È deceduto a causa dell’amianto, respirato per almeno otto anni nelle «Officine grandi riparazioni» delle Ferrovie dello Stato che tra il 1976 il 1984 si trovavano vicino a Porta a Vescovo a Verona. La giustizia per lui è arrivata a più di 14 anni dalla morte: il 16 luglio scorso, è stata letta la sentenza che ha condannato a 8 mesi solo uno dei sette imputati con l’accusa di omicidio colposo. Si tratta dell’ex capo del Dipartimento di Verona R.P. in servizio alle Officine grandi riparazioni dall’ottobre del 1977 al 1986 che però, è morto il 22 febbraio 2024 all’età di 83 anni

La Corte d’appello ha saputo della morte dell’imputato solo il 10 settembre scorso e a un mese e mezzo dalla lettura della sentenza, durante la stesura della motivazione del provvedimento. Ci sarebbe stata poi un’altra condanna se l’altro dirigente delle Officine grandi riparazioni, il milanese F.C., in servizio in città dal 1976 ad agosto 1977, non fosse morto il 16 maggio 2022 all’età di 91 anni dopo che il processo a Venezia era iniziato da un paio di mesi. La Corte d’appello ha disposto per lui «il non luogo a procedere per intervenuta morte del reo» in quanto, scrivono i giudici nella motivazione della sentenza, «non si poteva addivenire ad una conferma della statuizione assolutoria».

In primo grado con la sentenza del tribunale di Verona, risalente 14 novembre 2019, era stato assolto perché «il fatto non sussiste» così come R.P. La Corte d’appello ha poi condannato R.P. anche a risarcire le parti civili costituitesi nel processo ovvero la Cgil, tutelata dall’avvocato Francesco Palumbo e la Cgil filt con Chiara Palumbo. L’importo del risarcimento sarà deciso in un separato giudizio civile.

La sentenza d’appello ribalta in parte le conclusioni del processo celebrato a Verona nel 2019 ed è la prima volta per la città che viene riconosciuta la responsabilità penale per la morte causata dall’esposizione all’amianto. In appello, è stata confermata, invece, l’assoluzione per i componenti dell’allora Consiglio d’amministrazione delle Fs. È stato ribadito anche il proscioglimento dell’allora medico delle Officine grandi riparazioni , il veronese R.S. In estrema sintesi, la Corte ha ritenuto che i vertici delle Fs non avessero alcun compito in materia di infortuni sul lavoro mentre per il medico non è stato provato alcun tipo di negligenza o violazione di norma nella prevenzione delle malattie provocate dall’amianto. I due ex capi dipartimento, finiti nel mirino dalla Corte d’appello, riporta la motivazione della sentenza, «erano titolari di un potere di controllo e di un dovere di vigilanza in relazione all’igiene e alla sicurezza negli ambienti di lavoro». Dovevano, quindi, «svolgere visite mirate alla prevenzione del rischio amianto, segnalare le mancanze in materia di prevenzione e avevano l’onere di dare indicazioni per un’effettiva diminuzione dei rischi connessi all’esposizione della sostanza nociva». Tutte queste precauzioni, però, non sono state prese: «Dal dibattimento», sostengono i giudici, «è invece emersa la totale omissione di controlli mirati alla prevenzione del rischio contaminazione».

Durante il processo, è stata ricostruita l’attività lavorativa di Adami. L’operaio è stato esposto ad amianto dal 1976 fino al 1984 in maniera intensa e quotidiana e successivamente, fino al 1990, in maniera occasionale e sporadica. Durante la fase delle indagini, era stato lo stesso Adami a spiegare agli investigatori che «dovevamo rimuovere con le mani l’amianto, aiutandoci con raschietti e spatole. L’operazione era molto polverosa e spesso si faceva uso di aria compressa per facilitare la pulizia della lamiera da sostituire». Andò in pensione nel 2004 all’età di 51 anni e morì solo sei anni dopo