Venezia, tre operai morti per l’amianto. Dirigente assolto: «Non poteva fare nulla»
Il legale: «Prove difficili, malattie dopo 20 anni». Enel: «hanno lavorato altrove»
Tre operai morti per aver respirato amianto, assolto perché il fatto non sussiste l’anziano ex dirigente della centrale termoelettrica di Fusina Nerio Tabacchi, 90 anni. Il giudice monocratico Francesca Zancan ha accolto le argomentazioni di Sarah Franchini, l’avvocata della difesa che aveva chiesto l’assoluzione: nel ruolo di responsabile della sicurezza, Tabacchi non avrebbe potuto porre in essere provvedimenti per ridurre l’esposizione degli operai in quanto l’adozione di misure di precauzione era compito dei capi compartimento.
Le richieste
Il pubblico ministero Giorgio Gava aveva chiesto due anni di reclusione con la sospensione condizionale della pena. I fatti oggetto del processo risalgono a quarant’anni fa, esattamente al ventennio tra il 1965 e il 1985, quando Tabacchi era il capo della sicurezza e i tre operai morti lavoravano in nugoli di povere di amianto, che si frantumava dalla coibentazione delle caldaie e saturava gli ambienti.
risarcimenti
I familiari delle vittime sono stati risarciti da Enel, a processo come parti civili erano rimaste la Cisl con l’avvocato Elio Zaffalon e l’Associazione esposti amianto con l’avvocata Laura Mara. «Attendiamo le motivazioni della sentenza tra 90 giorni ma purtroppo quelli per amianto sono processi molto difficili — osserva Zaffalon — perché manifesta i suoi effetti 20 o 30 anni dopo l’esposizione ed è difficile la prova inequivocabile dell’attribuzione dei fatti». Si chiama periodo di latenza, quello che intercorre tra l’inalazione della sostanza e il manifestarsi della malattia e nel caso dell’amianto può arrivare anche a 60 anni. Erano anni in cui le tute intrise di asbesto si lavavano a casa, insieme alle lenzuola e ai vestiti per i bambini e il nesso tra il lavoro alla centrale di Fusina e la morte per mesotelioma dei tre operai non è stato ritenuto provato.
Il procedimento
«In precedenza, due dei lavoratori avevano avuto un impiego in luoghi con situazioni di esposizione all’amianto — spiega l’avvocato Tommaso Bortoluzzi, che ha patrocinato l’Enel, citata per la responsabilità civile —. Uno per sette anni e l’altro per 12 anni». Periodi abbastanza lunghi da non poter escludere che potessero aver respirato altrove le particelle che li fecero ammalare. In quegli anni la pericolosità della sostanza era nota ma gli operai non erano stati informati, pensavano che quella polvere chiara fosse gesso, aveva raccontato in aula una vedova, e l’unica difesa tra loro e l’asbesto erano le mascherine. Il procedimento giudiziario nei confronti di Nerio Tabacchi è stato il primo caso di esposizione all’amianto che abbia coinvolto l’Enel.