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morì per l’ esposizione all’amianto corte appello firenze 20 20220

I giudici della Corte di Appello di Firenze hanno accolto il ricorso presentato dall’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, contro la sentenza di primo grado del Tribunale di Pistoia che aveva respinto la richiesta di indennità all’INAIL di Susanna Vannucci, moglie dell’autotrasportatore Emilio Corbo, originario di Pistoia, deceduto nel luglio 2012 a soli 62 anni dopo atroci sofferenze per un mesotelioma da esposizione ad amianto.

Nel luglio del 2013 la donna, rimasta vedova con un figlio, Niklas, all’epoca 28enne, aveva fatto domanda amministrativa all’Inail che veniva respinta con la motivazione dell’assenza del nesso causale tra l’attività del coniuge e il mesotelioma. L’istituto ha addirittura ipotizzato che le fibre inalate dall’autotrasportatore che hanno causato la malattia, potessero essere state respirate nella sua abitazione dove era presente una stufa le cui tubature erano in asbesto.

Il presidente dell’Osservatorio nel ricorso presentato alla sezione lavoro della Corte di Appello del capoluogo toscano ha invece sottolineato e provato che il 62enne si è ammalato di mesotelioma ed è deceduto in seguito all’esposizione all’amianto presente nei componenti dei veicoli che ha guidato in qualità di autotrasportatore/artigiano per il periodo dal 1979 al 2009. Non solo, la vittima, del tutto ignara, ha anche usato guanti in amianto per ispezionare freni e motori e per proteggersi dal calore.

Per questo la Corte di Appello ha condannato l’Inail al pagamento in favore della vedova della rendita per i superstiti e del Fondo Vittime Amianto, l’importo degli arretrati che sarà corrisposto ammonterà a circa 240 mila euro, a cui si aggiungerà la rendita mensile di reversibilità di circa 1800 euro che percepirà per tutto il resto della sua vita. Inoltre è stato liquidato anche l’assegno funerario. Su tutte le somme dovranno essere corrisposti anche gli interessi legali.

cassazione 19 gennaio 2022

Presidente: BRONZINI GIUSEPPE Relatore: BUFFA FRANCESCO
Data pubblicazione: 19/01/2022
 

FattoDiritto

Con sentenza del 31.8.16, la Corte d’Appello di Milano ha confermato sentenza del 2013 del tribunale della stessa sede, che aveva rigettato il ricorso della società in epigrafe avverso la rideterminazione del tasso di premio per la voce tariffaria relativa agli addetti alla manutenzione acquedotto e attribuzione malattia professionale del lavoratore C. alla posizione assicurativa della società.
Avverso tale sentenza ricorre per quattro motivi, illustrati da memoria, la società, cui resiste l’INAIL con controricorso.
Con il primo motivo si deduce violazione dell’articolo 41 DPR 1124/65, 115-116 c.p.c. e 2697 c.c. per aver la corte territoriale erroneamente ritenuto l’eziologia professionale della patologia in difetto di prova dell’esposizione qualificata del lavoratore, trascurando che la malattia era insorta dopo dodici anni dalla cessazione del rapporto di lavoro e che nessun altro dipendente era ammalato.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’articolo 41 c.p. e 2697 c.c., per avere la sentenza impugnata imposto alla società l’onere della prova dell’assenza di amianto e non invece all’ INAIL.
Con il terzo motivo si deduce violazione dell’articolo 41 c.p. e 345 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto inammissibile l’eccezione formulata in appello di difetto di prova del nesso causale, sebbene fosse una mera difesa.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione degli articoli 41 c.p., 61 e 191 c.p.c., per non avere la corte territoriale ammesso la CTU -ritualmente richiesta dalla parte-, senza fornire alcuna motivazione del diniego.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Occorre premettere che la corte territoriale, premesso che il lavoratore era stato addetto alla manutenzione delle tubazioni di acqua dal 1969 al 1998, ha rilevato la sicura presenza di amianto nelle tubazioni nel 2001 e, per altro verso, che negli anni precedenti non risultavano modifiche della situazione degli impianti contenenti amianto (mentre era intervenuta la bonifica solo a fine 2001).
In tale contesto, ove è pacifico tra le parti da un lato che lavorazione e malattia (mesotelioma pleurico) del lavoratore sono tabellate e, dall’altro lato, che non risulta un mutamento della situazione di fatto negli anni, l’ascrivibilità della patologia del lavoratore al lavoro va ritenuta fino a prova contraria.
Resta salva, naturalmente, l’allegazione e la dimostrazione dell’inesistenza del nesso eziologico, che può consistere solo nella dimostrazione che la malattia sia stata causata da un diverso fattore patogeno, oppure che per la sua rapida evolutività, o per altra ragione, non sia ricollegabile all’esposizione a rischio, in relazione ai tempi di esposizione e di manifestazione della malattia, ma tale prova nella specie non é stata chiesta né data.
Con specifico riferimento all’onere della prova (questione oggetto del secondo motivo di ricorso), la sentenza impugnata é in linea con la giurisprudenza di questa Corte. Si é infatti precisato (Sez_ L, Sentenza n. 13733 del 17/06/2014, Rv. 631336 – 01) che, in caso di richiesta di pagamento di maggiori contributi per variazione in aumento del tasso specifico aziendale, l’INAIL ha l’onere di allegare, e, ove ciò sia oggetto di contestazione, provare, di avere provveduto, nel periodo di riferimento, all’indennizzo che aveva determinate la variazione in aumento del tasso specifico aziendale, mentre la deduzione dell‘insussistenza delle circostanze fattuali che avrebbero reso legittimo tale indennizzo integra una eventuale eccezione del contribuente. Si é anche aggiunto più di recente (Sez. L – , Sentenza n. 21563 del 21/08/2019,Rv. 654820 – 01) che, in tema di criteri per la determinazione del premio per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, il datore di lavoro che, pur in presenza di oneri effettivamente sostenuti dall‘I.N.A.I.L. per l’erogazione di prestazioni assicurative ai lavoratori dell’azienda, per un ammontare tale da implicare oscillazione in aumento del tasso specifico aziendale, assuma di essere tenuto al versamento di un premio di importo inferiore a quello preteso dall’Istituto stesso, postula necessariamente la giuridica inefficacia, nei propri confronti, del fatto costitutivo di siffatta pretesa, solo in tal guisa potendo sottrarsi alle obbligazioni nascenti dal rapporto di assicurazione e dalla specifica disciplina della determinazione dei premi; ne consegue, in applicazione dei criteri di distribuzione dell’onere della prova dettati dall’art. 2697 c.c., che incombe al datore di lavoro l’onere di fornire al giudice la dimostrazione dei fatti sui quali fonda la propria eccezione o la propria domanda.

Il terzo motivo di ricorso è infondato, atteso che l’inammissibilità dell’eccezione formulata in appello in ordine al difetto dì prova del nesso causale è giustificata dalla contestuale richiesta della parte di acquisizione di documentazione nuova a sostegno dell’eccezione, inammissibile in sede di appello.

Infine, e venendo al quarto motivo di ricorso, in disparte ogni considerazione circa la non censurabilità in cassazione delle scelte in materia operate dal giudice di merito (v. tra le tante Sez. L, Sentenza n. 23413 del 10/11/2011, Rv. 619479 – 01), il motivo è, a monte, inammissibile per difetto di autosufficienza, riguardando questione di cui non vi è cenno in sentenza e a fronte della quale la parte non ha indicato -e trascritto in ricorso come era suo onere (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16347 del 21/06/2018, Rv. 649535 – 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 32804 del 13/12/2019, Rv. 656036 – 01)- la richiesta formulata alla corte territoriale ed il suo specifico contenuto, non consentendo quindi a questa Corte di valutare la doglianza (tanto più che non è chiaro se la consulenza richiesta avesse carattere percipiente o solo valutativo).
Spese secondo soccombenza.

Sussistono i requisiti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

 

P.Q.M.



rigetta il ricorso;

18 gennaio 2022

Termini Imerese(PA) operaio di 57 anni ha perso la vita folgorato,durante i lavori per la realizzazione di una villetta,fatalmente la pala del suo escavatore toccava i cavi del alta tensione.

Randazzo (CT) operaio della forestale di 61 ha perso la vita a causa del cedimento del terreno mentre stava riparando una apparecchiatura.

e quella norma ci fosse stata prima, Luigi ora si stava godendo la pensione. Invece…”. I colleghi non si danno pace. Luigi Rinaldi è morto a 63 anni in un cantiere stradale a Novate Milanese, colpito dalla benna dell’escavatore che si è staccata improvvisamente. La norma è l’abbassamento della soglia di annualità contributive dei lavoratori edili, necessarie per andare in pensione (da 36 a 32 anni). La prevede la manovra economica del governo appena approvata, dopo anni di pressioni da parte dei sindacati. Perchè gli operai del settore, tra discontinuità dei cantieri e lavoro in nero, normalmente arrivano tardi alla pensione o, quando ci arrivano, l’assegno previdenziale è troppo basso e bisogna continuare a lavorare ad un’età rischiosa per certe attività. Luigi, dunque, finalmente aveva avviato le pratiche per approdare al meritato riposo, magari, come diceva sempre, per dedicarsi a tempo pieno alla sua villetta di Parzaniga, affacciata sul Lago d’Iseo. Ma non ha fatto in tempo e adesso l’ultima foto che ha postato sui social, è una tragica beffa: lui, con mascherina e cuffie antirumore, alle prese con il compressore in un cantiere. “Bravo, ma sta attento”, il commento alla fotografia di Daniela; “Attenzione” scrive Santina; “Ma non sei in pensione?” chiede Domenico e la risposta di Luigi è un colpo al cuore: “Non ancora”

ANCORA MORTI SUL LAVORO

ANCORA MORTI SUL LAVORO

Ieri in un operaio di 63 anni è morto sul lavoro a Novate Milanese dopo essere stato schiacciato da una benna di un escavatore. Dall’inizio del 2022 sono morti 11 lavoratori.

 In Italia non si muore solo di covid, esiste una strage infinita di operai e lavoratori completamente ignorati dal governo e dalle istituzioni compresi i sindacati.  

 A parte le ipocrite frasi di circostanza di politici, sindacalisti e istituzioni nulla è stato fatto di concreto per fermare questa mattanza. Il profitto viene prima da tutto. Il governo non si assolve dalle sue responsabilità con qualche ispettore in più.

Ricordiamo che solo pochi giorni fa all’indomani della tragedia a Torino, dove il crollo delle due gru in un cantiere edile ha provocato tre morti e tre feriti il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, richiamava l’attenzione sulle tante, troppe morti che accadono sui luoghi di lavoro, come anche il Papa, ma ogni giorno gli operai continuano a lavorare senza dispositivi di protezione individuali e collettivi, senza sicurezza sui luoghi di lavoro e a morire per arricchire i ,loro padroni.

 Oggi le confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil, ma anche alcuni sindacati falsamente di base, invece di preoccuparsi di difendere gli interessi dei lavoratori, a cominciare dalla sicurezza nei luoghi di lavoro e di vita sono più preoccupati ad aumentare le competitività delle aziende e il PIL, vendendo la classe operaia in cambio di privilegi o  “trenta denari”.

Di lavoro in Italia si muore quasi quanto di covid, sono state più di 1400 le vittime 2021 e decine di miglia i morti per malattie professionali. Oggi si continua a morire nei cantieri, nei campi, in fabbrica, per le strade. Il lavoro e diventato sempre più precario e il lavoratore ricattato, grazie ai contratti che i sindacati filo padronali firmano concedendo mano libera allo sfruttamento padronale.

 L’Italia è ormai diventa una Repubblica fondata sui morti sul lavoro.

Le morti sul lavoro non sono mai fatalità, “morti bianche” o incidenti, ma omicidi.

Quasi sempre si muore perché qualcuno ha risparmiato sulla sicurezza; ha chiuso un occhio o tutti e due sulle misure da adottare per avere macchinari e strutture efficienti ed evitare incidenti, risparmiando sulla formazione dei dipendenti. In particolare oggi nell’edilizia con i lavori del superbonus.

 Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio,

11 gennaio 2022 

risarcimento amianto

Operaio morto per esposizione all’amianto nel Napoletano: risarcimento di 1 milione di euro alla famiglia
Il Tribunale di Torre Annunziata ha condannato Fincantieri Spa e Sait Spa a risarcire con 1 milione di euro la famiglia di un operaio morto a causa dell’esposizione all’amianto.