Nessun nesso tra amianto e tumore al colon retto, la Cassazione conferma
La Corte d’appello di Bologna, decidendo in sede di rinvio da Cass. n. 10273 del 2018, ha rigettato la domanda del lavoratore volta ad accertare l’etiologia professionale della patologia tumorale di cui è portatore e a conseguire dall’INAIL le consequenziali prestazioni di legge. Secondo i giudici non c’è nesso tra amianto e tumore al colon retto e la Cassazione conferma (Corte di Cassazione, IV – Lavoro civile, ordinanza 11 aprile 2025, n. 9468).
“Il dissidio tra due CTU che siano state disposte nei gradi di merito può dar luogo al vizio di omesso esame di un fatto decisivo solo quando quella recepita dalla sentenza impugnata ometta l’esame di un fatto storico avente portata astrattamente decisiva, ossia tale che, se considerato, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione”.
Il caso
Il soccombente si rivolge nuovamente alla Corte di Cassazione censurando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per avere i Giudici di merito recepito le conclusioni della CTU disposta in sede di rinvio senza dare adeguata e specifica spiegazione della preferenza accordatale rispetto a quella effettuata in prime cure e senza dar conto delle osservazioni critiche rivoltele dal CTP.
Nello specifico, il Consulente nominato in sede di rinvio, sarebbe giunto alle proprie conclusioni in contrasto con le risultanze istruttorie, e avrebbe formulato ipotesi erronee circa il periodo complessivo di esposizione all’amianto, assumendo che l’odierno ricorrente, pur avendo lavorato dall’1/2/1960 al 30/4/1987 per la Compagnia Portuale di Ravenna, sarebbe stato meno esposto alla dispersione delle fibre d’amianto a partire dal 1976, allorché aveva assunto la carica di consigliere e poi, dal 1979, di vice console e quindi console della Compagnia Portuale.
Nessun nesso tra amianto e tumore al colon retto
Ebbene, i Giudici di merito, dopo aver dato atto che la neoplasia al retto da cui è affetto il lavoratore non rientra tra le malattie tabellate, hanno recepito le conclusioni della CTU disposta in sede di rinvio, secondo cui “non esiste al momento alcuna evidenza scientifica che attesti l’esistenza di un rapporto causa-effetto tra esposizione ad amianto e tumore al colon retto, che rappresenta invece la seconda o terza delle patologie per incidenza nella popolazione maschile italiana di età anagrafica corrispondente a quella dell’odierno ricorrente”, concludendo pertanto, anche alla luce delle osservazioni formulate dal CTU in replica alle critiche della CTP, per “l’insussistenza di un grado di probabilità sufficiente per affermare una rapporto anche concausale tra la malattia e la sua pregressa attività lavorativa”.
Che la più recente giurisprudenza si è consolidata nel senso che “il dissidio tra due CTU che siano state disposte nei gradi di merito può dar luogo al vizio di omesso esame circa un fatto decisivo solo quando quella recepita dalla sentenza impugnata ometta l’esame di un fatto storico avente portata astrattamente decisiva, ossia tale che, se considerato, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione (cfr., tra le più recenti, Cass. nn. 8429 del 2021, 31511 del 2022, 18886 del 2023 e 7716 del 2024).”
Le doglianze sono inammissibili.
L’elenco delle malattie oggetto di denuncia obbligatoria non amplia il catalogo delle patologie tabellate
Le stesse si agganciano alla affermazione della CTU che, concernendo la durata dell’esposizione all’amianto, sono del tutto irrilevanti alla luce della conclusione secondo cui, alla stregua delle attuali conoscenze scientifiche, perfino un’elevata esposizione giornaliera e cumulativa per molti anni all’amianto è considerata come concausa soltanto “possibile” dell’insorgenza di un carcinoma al colon retto.
Non è rilevante, secondo i Giudici, il fatto che il D.M. 10/6/2014, nell’aggiornare l’elenco delle malattie per cui è obbligatoria la denuncia abbia incluso il tumore al colon retto tra le patologie a “limitata probabilità” di derivazione causale dall’esposizione ad amianto, essendo consolidato il principio di diritto secondo cui l’elenco delle malattie oggetto di denuncia obbligatoria non amplia il catalogo delle patologie tabellate, con la conseguenza che gli elenchi succedutisi nel tempo in relazione alla citata disposizione assumono valore probatorio vario, in relazione all’intensità probabilistica del nesso eziologico accertato dalla commissione scientifica, ma sempre nel quadro di una concreta verifica probatoria il cui onere incombe sul lavoratore.
Ciò risponde anche al principio che vada esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, potendo quest’ultima essere ravvisata solo in presenza di un rilevante grado di probabilità.
Per tutte le ragioni anzidette il ricorso viene rigettato con conferma del secondo grado.
Morì a causa dell’esposizione all’amianto, 400mila euro alla vedova di un radiotelegrafista pugliese
TRANI – Il ministero della Difesa dovrà risarcire per una somma pari a 400mila euro la vedova di un radiotelegrafista pugliese morto il 10 febbraio 2020 a causa di un mesotelioma pleurico causato dall’esposizione all’amianto e riconosciuto, dalla sentenza del tribunale di Trani diventata definitiva, vittima del dovere.
Il Tribunale ha riconosciuto il nesso causale tra la malattia e l’esposizione a bordo, e ha disposto «l’erogazione dei benefici spettanti per legge», alla vedova. Alla vedova dovrà essere corrisposta una speciale elargizione di circa 300.000 euro, oltre a ratei arretrati per circa 100.000 euro e un vitalizio mensile di circa 2.400 euro. «A quasi cinque anni dalla sua morte, il militare ha ottenuto giustizia – dichiara Ezio Bonanni, legale della famiglia della vittima e presidente dell’Osservatorio nazionale amianto – Con la sentenza definitiva, possiamo procedere con ulteriori azioni per il risarcimento integrale dei danni». «Il nostro impegno prosegue a tutela di tutte le vittime dell’amianto e delle vittime del dovere», conclude.