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Amianto : Sentenze

Nessun nesso tra amianto e tumore al colon retto, la Cassazione conferma

La Corte d’appello di Bologna, decidendo in sede di rinvio da Cass. n. 10273 del 2018, ha rigettato la domanda del lavoratore volta ad accertare l’etiologia professionale della patologia tumorale di cui è portatore e a conseguire dall’INAIL le consequenziali prestazioni di legge. Secondo i giudici non c’è nesso tra amianto e tumore al colon retto e la Cassazione conferma (Corte di Cassazione, IV – Lavoro civile, ordinanza 11 aprile 2025, n. 9468).

“Il dissidio tra due CTU che siano state disposte nei gradi di merito può dar luogo al vizio di omesso esame di un fatto decisivo solo quando quella recepita dalla sentenza impugnata ometta l’esame di un fatto storico avente portata astrattamente decisiva, ossia tale che, se considerato, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione”.

Il caso

Il soccombente si rivolge nuovamente alla Corte di Cassazione censurando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per avere i Giudici di merito recepito le conclusioni della CTU disposta in sede di rinvio senza dare adeguata e specifica spiegazione della preferenza accordatale rispetto a quella effettuata in prime cure e senza dar conto delle osservazioni critiche rivoltele dal CTP.

Nello specifico, il Consulente nominato in sede di rinvio, sarebbe giunto alle proprie conclusioni in contrasto con le risultanze istruttorie, e avrebbe formulato ipotesi erronee circa il periodo complessivo di esposizione all’amianto, assumendo che l’odierno ricorrente, pur avendo lavorato dall’1/2/1960 al 30/4/1987 per la Compagnia Portuale di Ravenna, sarebbe stato meno esposto alla dispersione delle fibre d’amianto a partire dal 1976, allorché aveva assunto la carica di consigliere e poi, dal 1979, di vice console e quindi console della Compagnia Portuale.

Nessun nesso tra amianto e tumore al colon retto

Ebbene, i Giudici di merito, dopo aver dato atto che la neoplasia al retto da cui è affetto il lavoratore non rientra tra le malattie tabellate, hanno recepito le conclusioni della CTU disposta in sede di rinvio, secondo cui “non esiste al momento alcuna evidenza scientifica che attesti l’esistenza di un rapporto causa-effetto tra esposizione ad amianto e tumore al colon retto, che rappresenta invece la seconda o terza delle patologie per incidenza nella popolazione maschile italiana di età anagrafica corrispondente a quella dell’odierno ricorrente”, concludendo pertanto, anche alla luce delle osservazioni formulate dal CTU in replica alle critiche della CTP, per “l’insussistenza di un grado di probabilità sufficiente per affermare una rapporto anche concausale tra la malattia e la sua pregressa attività lavorativa”.
Che la più recente giurisprudenza si è consolidata nel senso che “il dissidio tra due CTU che siano state disposte nei gradi di merito può dar luogo al vizio di omesso esame circa un fatto decisivo solo quando quella recepita dalla sentenza impugnata ometta l’esame di un fatto storico avente portata astrattamente decisiva, ossia tale che, se considerato, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione (cfr., tra le più recenti, Cass. nn. 8429 del 2021, 31511 del 2022, 18886 del 2023 e 7716 del 2024).”

Le doglianze sono inammissibili.

L’elenco delle malattie oggetto di denuncia obbligatoria non amplia il catalogo delle patologie tabellate

Le stesse si agganciano alla affermazione della CTU che, concernendo la durata dell’esposizione all’amianto, sono del tutto irrilevanti alla luce della conclusione secondo cui, alla stregua delle attuali conoscenze scientifiche, perfino un’elevata esposizione giornaliera e cumulativa per molti anni all’amianto è considerata come concausa soltanto “possibile” dell’insorgenza di un carcinoma al colon retto.

Non è rilevante, secondo i Giudici, il fatto che il D.M. 10/6/2014, nell’aggiornare l’elenco delle malattie per cui è obbligatoria la denuncia abbia incluso il tumore al colon retto tra le patologie a “limitata probabilità” di derivazione causale dall’esposizione ad amianto, essendo consolidato il principio di diritto secondo cui l’elenco delle malattie oggetto di denuncia obbligatoria non amplia il catalogo delle patologie tabellate, con la conseguenza che gli elenchi succedutisi nel tempo in relazione alla citata disposizione assumono valore probatorio vario, in relazione all’intensità probabilistica del nesso eziologico accertato dalla commissione scientifica, ma sempre nel quadro di una concreta verifica probatoria il cui onere incombe sul lavoratore.

Ciò risponde anche al principio che vada esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, potendo quest’ultima essere ravvisata solo in presenza di un rilevante grado di probabilità.

Per tutte le ragioni anzidette il ricorso viene rigettato con conferma del secondo grado.

Morì a causa dell’esposizione all’amianto, 400mila euro alla vedova di un radiotelegrafista pugliese

TRANI – Il ministero della Difesa dovrà risarcire per una somma pari a 400mila euro la vedova di un radiotelegrafista pugliese morto il 10 febbraio 2020 a causa di un mesotelioma pleurico causato dall’esposizione all’amianto e riconosciuto, dalla sentenza del tribunale di Trani diventata definitiva, vittima del dovere.

Il Tribunale ha riconosciuto il nesso causale tra la malattia e l’esposizione a bordo, e ha disposto «l’erogazione dei benefici spettanti per legge», alla vedova. Alla vedova dovrà essere corrisposta una speciale elargizione di circa 300.000 euro, oltre a ratei arretrati per circa 100.000 euro e un vitalizio mensile di circa 2.400 euro. «A quasi cinque anni dalla sua morte, il militare ha ottenuto giustizia – dichiara Ezio Bonanni, legale della famiglia della vittima e presidente dell’Osservatorio nazionale amianto – Con la sentenza definitiva, possiamo procedere con ulteriori azioni per il risarcimento integrale dei danni». «Il nostro impegno prosegue a tutela di tutte le vittime dell’amianto e delle vittime del dovere», conclude. 

Amianto : Sentenze

Benefici contributivi amianto, la prescrizione parte dalla conoscenza dell’esposizione

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 8630 depositata oggi, accogliendo il ricorso del coniuge superstite

Il termine di prescrizione decennale per chiedere di poter godere dei benefici contributivi per l’esposizione all’amianto da parte del lavoratore (o da chi ne ha diritto) iniziano a decorrere dalla conoscenza del fatto e non dalla data di pensionamento che nulla prova. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 8630 depositata oggi, accogliendo il ricorso del coniuge superstite che aveva presentato la domanda nel 2016, otto anni dopo la morte del marito (avvenuta nel 2008).

La Corte di appello di Potenza, invece, aveva fissato il dies a quo dalla data del pensionamento del lavoratore quale «data ultima a partire dalla quale il diritto può essere fatto valere». Decretando, in riforma della decisione di primo grado, la tardività della domanda presentata all’Inps nel 2016 a fronte del collocamento in quiescenza nell’agosto del 2003.

Per la Sezione lavoro il ragionamento del giudice di secondo grado è errato in quanto prescinde “dall’effettivo accertamento che, a quella data, l’interessato avesse consapevolezza dell’esposizione ad amianto”. Secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema corte, infatti, il diritto alla rivalutazione contributiva (articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992) è assoggettato a prescrizione decennale, «con decorrenza dal momento in cui l’interessato abbia avuto conoscenza o potesse avere conoscenza del fatto di essere stato esposto oltre soglia ad amianto, durante le proprie lavorazioni» (n. 10225/2024).

E allora, per come la fattispecie è stata “tipizzata” dalla legge, prosegue la decisione, “la consapevolezza o la conoscibilità sono indispensabili al fine di individuare il termine di decorrenza della prescrizione del diritto vantato e devono essere positivamente e puntualmente accertate”. Ha quindi errato la Corte di merito “nell’arrestarsi al vaglio della data del pensionamento, di per sé sprovvista di valenza probante”; in tal modo omettendo “la rigorosa verifica” delle effettiva conoscenza del fatto da parte del richiedente.

La Corte ha invece bocciato il motivo di ricorso con cui la vedova affermava la imprescrittibilità del diritto, ricordando la prescrittibilità discende dalle caratteristiche del beneficio della rivalutazione contributiva della posizione assicurativa, che si atteggia «come un diritto autonomo rispetto al diritto a pensione» e «sorge in conseguenza del “fatto” della esposizione ad amianto e determina una maggiorazione pensionistica avente natura in un certo qual modo risarcitoria».

Anche per lavoratori già pensionati alla data di entrata in vigore del Dl n. 269 del 2003, va dunque ribadita la prescrittibilità del diritto, considerato che «ciò che si fa valere non è il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica […] bensì il diritto a un beneficio che, seppure previsto dalla legge “ai fini pensionistici” e ad essi, quindi, strumentale, è dotato di una sua specifica individualità e autonomia, operando sulla contribuzione ed essendo ancorato a presupposti propri e distinti da quelli in presenza dei quali era sorto (o sarebbe sorto) […] il diritto al trattamento pensionistico». Posizione ribadita dalla Suprema corte anche di recente (n. 7446/2024).

Amianto : Sentenze

Sentenza storica a Napoli. Riconosciuta correlazione tra adenocarcinoma e esposizione all’amianto

Napoli, 26 marzo 2025 – Ieri i giudici della sezione Lavoro del Tribunale di Napoli hanno accolto il ricorso per la morte di un ex dipendente dell’Autorità Portuale partenopea che morì per un adenocarcinoma polmonare per la prolungata esposizione all’amianto sul luogo di lavoro. Un milione e mezzo il risarcimento pattuito per gli eredi dell’operaio.
I legali dello studio Imilex Lorenzo Irace, Giuseppe Manganiello e Giancarlo Itri hanno definito la sentenza “storica” in quanto “segna una svolta epocale nella tutela degli ex esposti all’amianto”. Il fatto risale nel periodo compreso tra il 1974 ed il 1990 quando il lavoratore aveva svolto mansioni di gruista all’interno del Porto di Napoli. Il giudice del lavoro ha confermato che sino alla fine del suo rapporto di lavoro era consuetudine trasportare imballaggi contenenti la sostanza killer. 
L’adenocarcinoma polmonare è una patologia che, al contrario del mesotelioma, non è direttamente riconducibile all’amianto. La sentenza dunque rappresenta per la primissima volta una correlazione tra chi ha contratto questa patologia e l’esposizione alle fibre di asbesto.

  1. Cassazione Civile, Sez. Lav., 17 febbraio 2025, n. 4084:
    • Questa sentenza ha confermato la responsabilità del datore di lavoro (ABB Spa) per la malattia contratta da un lavoratore a causa dell’esposizione professionale all’amianto. Il lavoratore era stato esposto alle fibre di amianto per oltre trent’anni senza alcuna misura di protezione. La Corte ha riconosciuto la responsabilità civile del datore di lavoro per non aver adottato le necessarie cautele per prevenire il danno
    • Cassazione Civile, Sez. Lav., 26 marzo 2025, n. 8064:
    • La Cassazione ha confermato la condanna di Poste Italiane per l’esposizione all’amianto dei suoi dipendenti. Questa sentenza ribadisce l’importanza delle misure di sicurezza nei luoghi di lavoro per prevenire danni alla salute dei lavoratori
    • Corte d’Appello di Ancona, Sentenza n. 98/2025 del 13 marzo 2025:
    • Questa sentenza si riferisce a un caso in cui significative quantità di polveri di amianto erano state rilasciate nell’ambiente di lavoro, esponendo i lavoratori a rischi per la salute
    • IV Sez. Penale della Suprema Corte, sentenza n. 11168/2025:
    • La sentenza affronta il tema del nesso causale tra l’esposizione all’amianto e le malattie correlate, un argomento ampiamente dibattuto
    • Corte di Cassazione, sentenza del 5 novembre 2024 (citata nel 2025):
    • Anche se non del 2025, questa sentenza è stata menzionata nel contesto delle recenti decisioni giurisprudenziali sull’amianto. Ribadisce la valenza causale dell’esposizione all’amianto anche in assenza di specifiche prove dirette

Amianto : Sentenze

Dopo 50 anni condannato medico a Torino per morti amianto

Un ottantacinquenne era rimasto l’unico imputato nel processo

Un medico di 85 anni è stato condannato dal Tribunale di Torino per omicidio colposo a un anno e sei mesi di reclusione, per il decesso di 8 dei 16 operai delle Officine grandi riparazioni di Torino che negli anni Settanta si sono ammalati e sono morti a causa dell’amianto.
    Come libero professionista tra il 1970 e il 1979 venne chiamato dalle Ferrovie come consulente esterno.

L’inchiesta era partita un decennio dopo dall’allora procuratore aggiunto Raffaele Guariniello e il medico è rimasto l’unico imputato visto che gli altri erano morti nel frattempo.
    All’85enne difeso dagli avvocati Alberto Mittone e Fabiana Francini, la procura contestava di “non aver sottoposto i lavoratori a visite mediche allo scopo di accertarne l’idoneità fisica e non aver ripetuto le visite a intervalli regolari” e che in qualità di consulente non avrebbe svolto “il proprio ruolo di controllo, vigilanza e segnalazione rispetto all’inadempimento degli obblighi e rimedi previsti dalla legge” per evitare la presenza di amianto.
    Per lui il pubblico ministero Elisa Buffa aveva chiesto una condanna complessiva a 3 anni e 2 mesi.

Amianto killer alle Ogr, condanna 50 anni dopo

Morti di amianto Eternit a Cavagnolo, colpo di scena in Cassazione: annullata la condanna a Schmidheiny e processo (di nuovo) da rifare

Sentenza annullata e grande sconcerto da parte di chi ha a cuore i familiari delle vittime e ora teme la prescrizione

Per quelle due persone morte d’amianto a Cavagnolo, una nel 2008 e una nel 2012, si erano già celebrati quattro processi. Il quinto, terminato ieri, venerdì 21 marzo 2025, davanti alla corte di Cassazione, sarebbe potuto essere l’ultimo. E invece non sarà così: i giudici, infatti, hanno annullato la sentenza di condanna a un anno e otto mesi di carcere per il magnate svizzero dell’amianto Stephan Schmidheiny. Ora dovrà essere di nuovo giudicato dalla corte d’Appello di Torino. 

Le vittime

La vicenda riguarda la morte di per asbestosi di un dipendente dello stabilimento Saca a Cavagnolo, azienda parte del gruppo Eternit (di cui Schmidheiny è proprietario), e di una contadina del paese. Schmidheiny è accusato di omicidio colposo. I lavoratori e non solo non sarebbero stati adeguatamente protetti dai pericoli dell’amianto e informati sui rischi. 

I processi

In primo grado, l’imputato era stato condannato a quattro anni. Nel primo processo d’appello, la pena era stata ridotta a un anno e otto mesi. Poi la corte di Cassazione aveva chiesto un nuovo processo di secondo grado, terminato a dicembre 2024 con la conferma della pena (e una modifica delle provvisionali da pagare alle parti civili). Adesso, di nuovo, è tutto da rifare, per ragioni che saranno rese note nelle prossime settimane, con la pubblicazione delle motivazioni della sentenza. 

Lo sconcerto 

“Ora il rischio è che tutto venga stralciato dalla scure della prescrizione – commenta amareggiato l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’osservatorio nazionale amianto (Ona) e legale dei familiari delle vittime – Il nostro impegno proseguirà in tutte le competenti sedi, per la bonifica, la messa in sicurezza, la tutela medica e risarcitoria di tutte le vittime”. 

Aggiunge Massimiliano Quirico di Sicurezza e lavoro: “In attesa di conoscere le motivazioni, ci auguriamo che la decisione della Suprema Corte sul processo Eternit Bis di Cavagnolo non influenzi il giudizio d’appello per altre 392 vittime in corso a Torino, che dovrebbe arrivare a sentenza il 17 aprile 2025”. 

Amianto : Sentenze

Militare a Teulada, ucciso dall’amianto: maxi risarcimento e vitalizio alla vedova

Francesco Maria Cairo esposto al materiale killer durante la naja tra ‘68 e ‘69. A distanza di decenni, e dopo la morte, condannato il ministero della Difesa: deve versare 285 mila euro una tantum e 2000 al mese. Ma lo Stato impugna il verdetto

Ha fatto la naja nella Scuola della Motorizzazione alla Cecchignola, poi al Centro Addestramento Unità Corazzate di Capo Teulada.  Francesco Maria Cairo è morto nel 2022 all’età di 71 anni a causa di un mesotelioma pleurico provocato dall’esposizione all’amianto, avvenuta durante il servizio militare tra luglio 1968 e settembre 1969.

Ora un tribunale lo ha riconosciuto “vittima del dovere”: ha condannato il  ministero della Difesa a garantire alla vedova i benefici previdenziali, per un importo complessivo di 285mila euro, oltre a un vitalizio mensile di 2mila euro.

«Francesco Maria Cairo, lombardo, si sentiva tradito dallo Stato come uomo, cittadino e militare perché, nell’assolvere un dovere, si è gravemente ammalato e, pur consapevole di dover morire, era determinato ad ottenere i suoi diritti. Finalmente giustizia per un uomo valoroso»: è il commento sul verdetto dei giudici di Milano dell’avvocato Ezio Bonanni, che ha portato avanti la causa per conto della donna, in rappresentanza dell’Osservatorio Nazionale Amianto (Ona). 

Amianto : Sentenze

Operaio per 20 anni lavora in mezzo all’amianto. Dopo la morte, Enel condannata a pagare 1 milione

La Corte d’Appello di Firenze ha disposto un maxi risarcimento a favore dei familiari della vittima, deceduta a Pisa all’età di 77 anni

Per vent’anni un operaio manutentore elettrico ha lavorato in un impianto in cui era presente dell’amianto. A causa dell’esposizione frequente, senza le necessarie protezioni, ha alla fine contratto un mesotelioma. E all’età di 77 anni è deceduto a Pisa.

Firenze, 20 febbraio 2025 – La Corte d’Appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado che condanna l’Enel al risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari di R.C., operaio manutentore elettrico, per l’esposizione elevata e non cautelata a fibre e polveri di amianto che ne ha causato il decesso per mesotelioma Pisa all’età di 77 anni, e la violazione degli obblighi relativi alla sicurezza sul lavoro.

Il lavoratore deceduto è stato esposto alla fibra killer per 20 anni nelle centrali riunite Marzocco, a Livorno, dove, nel reparto elettrico, c’erano le turbine coibentate con amianto.

In primo grado i testimoni hanno dichiarato che “il materiale tendeva a sbriciolarsi”, che nessuno dei lavoratori indossava mascherine protettive, e che non esisteva un impianto di aereazione né aspiratori. Esprime soddisfazione l’avvocato Ezio Bonanni, difensore dei familiari della vittima e presidente Osservatorio nazionale Amianto, che dichiara: “Ancora una volta l’Enel viene condannata per le morti di amianto. E’ incomprensibile perché si ostini a non risarcire direttamente le vittime e le famiglie che, non solo patiscono la malattia, ma in tanti casi, purtroppo, anche la morte di un loro congiunto. Anche se la legge prevede per loro un giusto risarcimento per le pene sofferte, per ottenerlo sono ancora necessari lunghi ed estenuanti procedimenti giudiziari”.

Processo Eternit bis, la perizia: “Ogni esposizione all’amianto accelera la malattia”

È emerso dalla relazione del consulente della Procura nel processo d’appello per le vittime di Casale Monferrato. Imputato l’ex patron svizzero dell’Eternit, Schimdheiny. “Senza amianto 60 casi di tumore all’anno invece di 1.400”

Il consulente della Procura generale lo chiama “effetto acceleratore”. Tradotto: l’esposizione prolungata all’amianto accelera l’evoluzione del mesotelioma. Non vale solo il primo contatto, dunque: più si è respirato asbesto, prima si muore. Lo ha spiegato il professor Corrado Magnani nell’udienza del 17 febbraio del processo Eternit bis, citando nello specifico uno studio epidemiologico innovativo pubblicato nel 2022 e condotto su 50mila ex lavoratori di aziende italiane in cui si usava amianto, tra cui proprio l’Eternit di Casale Monferrato. “I lavoratori del cemento amianto in Italia – ha concluso l’esperto – morivano con anticipazione se erano stati maggiormente esposti” alle fibre cancerogene. 

Contano, insomma, tutti i periodi di esposizione all’amianto. Una tesi che supporta le accuse mosse dalla Procura all’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, per dieci anni – dal ’76 all’86 – responsabile dell’Eternit di Casale, imputato in appello per l’omicidio volontario con dolo eventuale di 392 lavoratori e residenti. In primo grado era stato condannato a 12 anni per omicidio colposo. “Se siamo in due ad avvelenare un terzo, non siamo tutti e due innocenti. Piuttosto, abbiamo concorso tutti e due ad avvelenare e far morire migliaia di persone”, ha commentato Bruno Pesce, cofondatore di Afeva, l’Associazione dei familiari delle vittime dell’amianto, parte civile nel procedimento.

La sentenza è prevista per il 19 marzo, molto attesa dalla comunità di Casale Monferrato, dove la gente continua ad ammalarsi e morire. “Ormai di lavoratori non ce ne sono più – ha spiegato Giuliana Busto, presidente dell’Associazione familiari vittime amianto – si tratta di persone di Casale, di normali residenti, che hanno avuto qualche contatto con l’amianto”.

Un altro dato fornito dal professor Magnani è quello sulla correlazione comprovata tra esposizione all’amianto e insorgenza del tumore polmonare. “Senza esposizione all’amianto l’Italia conterebbe 60 casi all’anno di mesotelioma, invece sono 1.400 – ha detto il consulente – e sono tutti casi in cui la morte è anticipata per la malattia causata dall’esposizione”. Gli studi epidemiologici stimano infine che il numero di anni di vita persi da chi si ammala di mesotelioma siano nell’ordine dei 15-20 anni.

Amianto : Sentenze

Taranto, operaio lavora per 20 anni sulle navi militari e muore per l’amianto. Il ministero della Difesa dovrà risarcire

Il Tribunale:«Non osservate le norme di sicurezza». Disposto un risarcimento di 50 mila euro ai familiari

Dal 1972 al 1992 ha lavorato sulle navi della Marina militare entrando in contatto con l’amianto ma senza indossare i dispositivi di protezione dalla dispersione in aria delle fibre del micidiale minerale. È stato così colpito da un carcinoma polmonare con successive metastasi e la malattia l’ha condotto a morte. Ora il giudice Raffaele Ciquera, del tribunale del Lavoro di Taranto, ha condannato il ministero della Difesa a risarcire la famiglia, moglie e due figli, con 50mila euro

L’uomo, che lavorava come operaio manutentore e movimentatore di materiali in una ditta appaltatrice dell’Arsenale militare, s’è trovato per vent’anni in un ambiente di lavoro a rischio perché era incaricato di rimuovere l’amianto senza utilizzare guanti, calzari e tute di protezione per fronteggiare il pericolo degli effetti nocivi del contatto. 

Ansia da esposizione all’amianto: «È una malattia professionale». Il caso dell’operaio toscano

Riconosciute le ragioni di un ex carpentiere dello stabilimento di Larderello: i motivi

GROSSETO. Fabio a maggio compirà 58 anni. Da tempo, da troppo tempo, convive con l’angoscia di potersi ammalare. Ex operaio di Enel a Larderello – carpentiere, tirafilista e manutentore degli impianti di alta tensione – ha visto tanti suoi colleghi rimanere vittime delle conseguenze dell’esposizione all’amianto. Lui no, non ha avuto nulla, ma ha sviluppato uno “stato ansioso-ansia anticipatoria” connesso proprio alla paura che un giorno tutto ciò potesse o possa ancora capitare anche a lui. L’Inail non ha mai voluto riconoscere questa patologia psichica come malattia professionale. Ma Fabio ha presentato ricorso in Tribunale e il giudice gli ha dato ragione.

Amianto : Sentenze

Broni

Mesotelioma, vinto il ricorso viene concesso il risarcimento

Pensionato muore per la malattia provocata dall’amianto, ma mancava l’esame istologico. Lunga battaglia legale di Avani, ora la somma agli eredi

L’esame istologico che conferma il mesotelioma pleurico potrebbe non servire più per ottenere il risarcimento per le vittime dell’amianto. O, perlomeno, questo è quanto deciso dall’Inail di Pavia nel caso di un cittadino di Broni, morto a 80 anni per il male dell’amianto, e ai cui parenti era stato negato il risarcimento una tantum di 15mila euro istituito nel 2008 per i lavoratori, con il Fondo vittime amianto (in seguito riconosciuto qualche anno dopo anche per i malati per esposizione ambientale).

Nel caso specifico – ha spiegato l’associazione Avani – la richiesta presentata per ottenere il risarcimento era stata respinta per due volte lo scorso anno per la mancanza dell’esame istologico, un documento che fino a qualche tempo fa, non serviva.

Bastava e avanzava, giustamente, il referto medico con cui era stata diagnosticata la malattia e, a maggior ragione, la scheda di decesso in cui viene riportata l’esatta causa della morte. Qualcuno poi però ha pensato di introdurre questo odioso balzello che, grazie alla tenacia dell’associazione delle vittime e alla “professionalità del personale di Inali Pavia” come ha tenuto a specificare il presidente Silvio Mingrino, è stato superato.

Nei giorni scorsi l’ente ha infatti comunicato l’accoglimento della domanda. Una battaglia vinta, insomma, un caso singolo di buon senso dimostrato dall’apparato burocratico di cui, tuttavia, si dovrà necessariamente tener conto anche in futuro. 

Amianto : Sentenze

Capitano morto di mesotelioma, Ministero condannato a risarcire

La Spezia, per il Tar è stata provata la correlazione tra l’esposizione all’amianto e la malattia: ai familiari 320mila euro. La sentenza del tribunale dopo il ricorso presentato dagli eredi

La Spezia, 27 gennaio 2025 – Un risarcimento di 320mila euro ai familiari di un militare morto di mesotelioma, contratta a causa della prolungata esposizione all’amianto. L’ennesima sentenza di condanna del ministero della Difesa per i tragici effetti della fibra killer è arrivata nei giorni scorsi dal Tar del Lazio, che si è pronunciato sul ricorso presentato dagli eredi di un capitano di vascello che ha prestato servizio su numerose navi, molte delle quali all’epoca dei fatti di stanza nella base navale della Spezia.

Nel dettaglio, l’uomo, entrato in Marina nel 1966, ha prestato servizio fino al 30 gennaio 2000: trentaquattro anni di lavoro durante i quali è stato trasferito per un periodo anche presso la base navale della Spezia, per essere imbarcato su Nave Cavezzale, Nave Piave e Nave Ape.

In precedenza, era stato assegnato a Nave Freccia, Nave Saetta, ai sommergibili Cappellini, Toti, Morosini e Torricelli, con il militare che, oltre alla Spezia, nel corso della carriera ha operato anche nelle strutture della Marina a Taranto, Brindisi, Messina, e all’isola della Maddalena.

Secondo quanto messo nero su bianco nel ricorso dai famigliari, assistiti dall’avvocato Ezio Bonanni, l’ufficiale – morto nel gennaio del 2009 a causa di un un mesotelioma pleurico – sarebbe stato esposto professionalmente ad amianto, nonché a numerosi altri inquinanti. La ctu chiesta dal tribunale ha evidenziato che “le attività espletate dal militare durante il servizio prestato nella Marina dal 1966 al 2000 hanno rivestito, secondo il criterio del ’più probabile che non’, un ruolo causale nell’insorgenza del mesotelioma”.

I giudici, nello stabilire che “si debba ritenere sussistente la responsabilità del ministero della Difesa per la patologia tumorale che ha colpito il capitano, determinandone il decesso. È da ritenere provato il nesso di causalità tra l’esposizione e l’insorgenza della patologia tumorale”, hanno condannato il ministero della Difesa a un risarcimento complessivo a favore della vedova e dei figli pari a 320.146 euro, oltre al pagamento delle spese processuali.

Amianto : Discariche

Eternit, “Nessuna anomalia nello stoccaggio”(Chianni Pi)

Il sindaco Tarrini respinge le accuse su episodi di rottura negli imballaggi alla Grillaia: “Fatte tutte le verifiche del caso, denunce infondate”

CHIANNI — Nessuna rottura e, soprattutto, nessuna presenza di fibre di amianto nell’aria. Lo ha assicurato il sindaco Giacomo Tarrini, che dopo la denuncia fatta dal coordinamento No Valdera Avvelenata su una possibile fuoriuscita di materiale dai sacchi smaltiti nella discarica della Grillaia, ha garantito come niente di simile sia mai accaduto.

Lo stesso Tarrini, infatti, dopo aver ricevuto un video e una foto relativi alla possibile rottura degli involucri di eternit stoccati, si è recato all’impianto. “Già dall’immagine non erano riscontrabili rotture, ma ho voluto verificare – ha spiegato – ho mostrato le immagini al personale responsabile del sito, affinché venisse fatta un’analisi, chiedendo anche di redigere una relazione”.

“Le procedure operative durante lo stoccaggio del materiale in discarica sono molto scrupolose e prevedono interventi immediati qualora si verificasse un imprevisto simile – ha aggiunto – inoltre, periodicamente vengono effettuati rilievi sulla presenza di fibre di amianto nell’aria e mai ne sono state rilevate. Per quanto riguarda il caso specifico, invece, ci è arrivato il riscontro della proprietà, che conferma la totale assenza di anomalie sui processi di stoccaggio“.

“L’amministrazione comunale e il sottoscritto si sono sempre adoperati per l’interesse della comunità – ha concluso il sindaco – ci siamo resi conto, però, che talvolta si è preferito non ascoltare spiegazioni e chiarimenti. Questa è un’opportunità per invitare chiunque abbia dei dubbi a trattare i problemi attraverso i canali istituzionali, dove saranno trovate tutte le risposte. Alla richiesta fatta da No Valdera Avvelenata, rispondo che considero ancora una volta infondate e inopportune le loro dichiarazioni“.

Un ulteriore specifica è arrivata, poi, dall’ingegner Massimo Peluso, responsabile tecnico del sito. “Gli imballi contenenti amianto devono essere coperti nelle loro parti superiori, mentre non è prevista la copertura sui fianchi della coltivazione ed è pertanto logico che questi siano visibili dall’esterno – ha spiegato – i manufatti contenenti amianto possono essere conferiti in Plate Bag o in Big Bag, entrambi in polipropilene omologati e dotati di liner interno per garantire la tenuta stagna. Al momento dell’ingresso in impianto, viene verificata l’integrità dell’imballaggio tramite un riconfezionamento del carico stesso”.

“Dunque, ciò che si può vedere esternamente è proprio questo doppio rivestimento, senza che ciò sottintenda la rottura dell’imballaggio nel suo complesso o la possibile liberazione di fibre di amianto – ha concluso – è certa l’assenza di presenza o contaminazione di fibre di amianto nell’aria. Dall’avvio dei conferimenti a oggi i rilievi e i monitoraggi svolti hanno dato esito negativo rispetto alla presenza o contaminazioni di fibre di amianto nell’aria”.

No Valdera Avvelenata attacca, “Alla Grillaia rischio vento”

Come riportato dal coordinamento contrario alla riapertura della discarica alcuni imballaggi sarebbero rotti: “Vorremmo sapere cosa ne pensa Tarrini”

CHIANNI — Alcuni imballaggi e teli della discarica della Grillaia sarebbero rotti, con il rischio che il vento possa spargere la polvere di amianto. Questa, almeno, è la denuncia del coordinamento No Valdera Avvelenata, che chiama in causa il sindaco Giacomo Tarrini.

“Ci piacerebbe sapere cosa ha da dire il sindaco, che fece venire ingegneri e studiosi per rassicurare la propria comunità – hanno scritto – seppellire 270mila metri cubi di amianto sembrava una cosa che poteva essere fatta e che, anzi, sarebbe servita a mettere definitivamente la discarica in sicurezza. Addirittura, per fare digerire meglio la cosa, disse che avrebbe nominato una persona di sua fiducia per controllare che i conferimenti dell’amianto fossero sempre ben confezionati e sotterrati”.

“Un’opportunità da non perdere, che avrebbe portato nelle casse comunali una compensazione in denaro gentilmente donata dal proprietario attuale della discarica – hanno concluso – noi, al contrario, abbiamo sempre ritenuto profondamente ingiusta la delibera della Regione che autorizzava la riapertura della Grillaia: per questo motivo, con le manifestazioni di Marzo 2023 e di Ottobre 2024 a Pontedera ne abbiamo chiesto il ritiro, con il blocco del conferimento dell’amianto”.