Archivi categoria: Sentenze

Amianto: Sentenza

Macchinista morto per esposizione all’amianto: Inail condannata a risarcire la vedova

L’ente aveva rigettato la richiesta di Maria Mangiocco, vedova di Maurizio De Meo, morto nel 2018 per un mesotelioma

Aquattro anni dalla morte di Maurizio De Meo, macchinista ucciso da un mesotelioma pleurico dovuto all’esposizione ad amianto, il tribunale di Velletri ha condannato l’Inail a risarcire la sua vedova, Maria Manciocco, con 80 mila euro di arretrati, e a corrisponderle una rendita vita natural durante di circa 1.600 euro mensili.

La vicenda è iniziata nel 2018, quando Di Meo, macchinista delle Ferrovie dello Stato di Colleferro, è morto a soli 60 anni dopo una lunga lotta contro la malattia causata dall’esposizione ad amianto con cui era coibentato il reostato che collegava i 13 motori del locomotore. I due figli, all’epoca di 26 e 30 anni, e la vedova avevano fatto domanda di risarcimento all’Inail, ma l’ente previdenziale aveva rigettato la richiesta nonostante che il mesotelioma sia una malattia inserita nelle apposite tabelle. Si erano quindi rivolti all’Osservatorio Nazionale Amianto e al suo presidente, l’avvocato Ezio Bonanni, per avere assistenza legale

.Il tribunale di Velletri alla fine ha dato ragione alla vedova, riconoscendo come l’inserimento del mesotelioma nelle tabelle sia “la cristallizzazione di giudizi scientifici specifici sull’esistenza del nesso di causalità”, e ha condannato l’Inail a corrisponderle 80mila euro e una rendita di 1.600 euro mensili: “Un’altra vittoria nella lotta all’amianto – ha detto Bonari – mi dispiace soltanto che ancora, per questioni ormai assodate, si debba adire il tribunale con lungaggini che potrebbero essere assolutamente evitate. Si tratta di una sofferenza ulteriore per le famiglie delle vittime che già hanno perso un familiare a causa di una malattia contratta sul posto di lavoro”.

Amianto ed Esercito

Amianto, militare ucciso da mesotelioma: la famiglia sarà risarcita

Il Tribunale di Grosseto ha condannato i Ministeri della Difesa e dell’Interno a risarcire con una somma di circa 400mila euro la vedova del militare Antonio Ballini

rosseto, 1 agosto 2022 – Il Tribunale di Grosseto ha condannato i Ministeri della Difesa e dell’Interno a risarcire con una somma di circa 400mila euro (comprensivi degli arretrati) la vedova del militare Antonio Ballini , deceduto per un mesotelioma per l’esposizione alla fibra killer nelle unità navali della Marina Militare italiana , e l’erogazione proseguirà per tutta la vita con un vitalizio di 1.900 euro mensili.

E’ quanto rende noto con un comunicato l’Osservatorio Nazionale Amianto (Ona). Ballini è morto nel 2014 a 69 anni per essere stato a contatto, tra il 1965 e il 1967, con l’ amianto utilizzato nelle navi della Marina , in particolare nei motori, essendo stato adibito alla manutenzione dei mezzi, nonché impiegato in attività di pulizia di cucine e impianti di riscaldamento e caldaie. A pochi mesi dalla diagnosi è morto tra atroci sofferenze lasciando orfano il figlio Marco, e vedova la moglie, Delfina Lucignani, che ha portato avanti la sua battaglia legale contro uno Stato che fatica a riconoscere i diritti delle vittime. 

Il Tribunale ha riconosciuto al militare lo status di vittima del dove re che, in un primo momento, gli era stato negato e ha sottolineato in sentenza: ”deve pertanto ritenersi che l’esposizione ad amianto del Ballini sia avvenuta in occasione dello svolgimento di attività di servizio e nell’espletamento delle funzioni d’istituto” e che: “la patologia contratta e il decesso derivatone siano riconoscibili come dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali in cui il ricorrente ha operato”.

Amianto .Danno psichico

Trieste: Tribunale accoglie appello di Visintin colpito da disturbo psichiatrico per esposizione ad amianto

Corte di Appello di Trieste ha accolto l’appello di Claudio Visintin, vittima dell’amianto che ha contratto infermità asbesto correlate per il lavoro svolto come portuale nel Porto di Trieste. Visintin, 71 anni, nato a Bue d’Istria, si è ammalato di placche pleuriche, e con lesione psicobiologicadisturbo dell’adattamento con umore depresso ad andamento cronico.

L’uomo ha lavorato per la Compagnia portuale dal 1970 al 1981, si occupava di facchinaggio. Durante il servizio è stato esposto a polveri e fibre di amianto. Spesso movimentava sacchi di juta contenenti l’asbesto e manipolava materiali friabili e compatti in amianto. Come tanti operai che poi si sono ammalati delle gravi patologie legate all’amianto respirava le polveri killer senza protezioni e senza conoscerne il rischio.

L’Inail nel 2015 aveva accertato la malattia professionale di ispessimenti pleurici con una menomazione all’integrità psicofisica del 3%, spiegando così che l’operaio non avesse diritto ad alcun indennizzo perché, per ottenerlo, per legge sono necessari postumi invalidanti del 6%.

Eppure già dal 2015 la sua vita era notevolmente cambiata, aveva difficoltà respiratoriastanchezza eccessiva, preoccupazione costante di potersi ammalare di mesotelioma e fastidio per la necessità di continui controlli sanitari. Aveva anche modificato i suoi rapporti con i familiari e con gli amici preoccupato di aver esposto la moglie e i figli all’amiantoL’angoscia era tale che il 23 febbraio 2016 era arrivato a tentare il suicidio. All’epoca che gli avevano certificato un disturbo post traumatico da stress subito per l’esposizione all’amianto e all’insorgenza delle placche pleuriche, che rappresentano spesso il primo stadio del mesotelioma. Si tratta di uno dei tumori più aggressivi, causati esclusivamente dall’amianto, purtroppo con esito quasi sempre infausto.

Il Tribunale di Trieste nel 2021 non aveva riconosciuto all’uomo il disturbo psichiatrico quale patologia professionale asbesto correlata, ora la Corte di Appello con questa sentenzanella quale ha quantificato un danno complessivo liquidato di € 12.573,00 a cui vanno aggiunte le rivalutazioni annuali e gli interessi, apre le porte ad una nuova frontiera del danno e afferma che deve essere risarcito anche il danno psichico, oltre al danno morale

AMIANTO :Assoluzioni e condanne

Amianto: assolti in appello bis ex amministratori Fibronit di Broni

 Il procuratore generale aveva chiesto la conferma delle condanne per gli ex vertici della Fibronit: 3 anni e 2 mesi per Cardinale, 2 anni e 8 mesi per Mo

Sono stati assolti dalla Corte d’Appello di Milano Michele Cardinale e Lorenzo Mo, rispettivamente ex amministratore delegato ed ex direttore della ex fabbrica Fibronit di Broni (Pavia), indagati per omicidio colposo in relazione alla morte di diversi operai e di alcuni loro familiari, ammalatisi di mesotelioma a causa dell’amianto.

Si è trattato del processo-bis della vicenda, dopo che nell’ottobre del 2020 la Corte di Cassazione aveva cancellato le condanne inflitte in primo e secondo grado a Cardinale e Mo. I giudici della Corte d’Appello hanno disposto nuove perizie, sulle risultanze delle quali è giunta la sentenza di assoluzione. Il procuratore generale aveva chiesto la conferma delle condanne per gli ex vertici della Fibronit: 3 anni e 2 mesi per Cardinale, 2 anni e 8 mesi per Mo. 

Amianto killer, concesso super risarcimento alla famiglia dell’operaio dei cantieri morto nel 2017

Fincantieri dovrà risarcire di 720mila euro i parenti. La vittima aveva prestato servizio dal 1961 al 1963

ANCONA- Otterrà un maxi-risarcimento di circa 720mila euro la famiglia dell’operaio anconetano, deceduto a 80 anni nel 2017 per mesotelioma pleurico una malattia strettamente connessa all’esposizione all’amianto, che aveva prestato servizio al cantiere navale dal 1961 al 1963. La sentenza a carico di Fincantieri è stata pronunciata dal giudice Arianna Sbano dopo la causa portata avanti dai familiari rappresentati dagli avvocati Redolfo e Ludovico Berti.

Nel corso del processo sono stati diversi i testimoni ascoltati. Stando a quanto emerso, all’interno del cantiere, la vittima si sarebbe ammalato a causa del contatto con l’amianto. La prima diagnosi fu fatta all’ospedale di Torrette a cui seguirono altre consultazioni in alcuni centri specialistici in giro per l’Italia. L’anziano, va detto, lavorava per una ditta in appalto della Fincantieri ma ciò che è emerso dall’ambito processuale è la mancata garanzia della salubrità dei luoghi di lavoro da parte dell’azienda. La vittima, secondo gli atti e quanto raccolto, avrebbe operato senza gli adeguati dispositivi di sicurezza, in spazi angusti e nei pressi dei coibentatori.

Amianto: Sentenze

Amianto nel Porto di Trieste: la Corte di Appello riconosce disturbo psichiatrico patologia professionale asbesto correlata

La Corte di Appello di Trieste ha accolto l’appello di Claudio Visintin, vittima dell’amianto che ha contratto infermità asbesto correlate per il lavoro svolto come portuale nel Porto di Trieste. Visintin, 71 anni, nato a Bue d’Istria, si è ammalato di placche pleuriche, e con lesione psicobiologica, disturbo dell’adattamento con umore depresso ad andamento cronico. L’uomo ha lavorato per la Compagnia portuale dal 1970 al 1981, si occupava di facchinaggio. Durante il servizio è stato esposto a polveri e fibre di amianto. Spesso movimentava sacchi di juta contenenti l’asbesto e manipolava materiali friabili e compatti in amianto. Come tanti operai che poi si sono ammalati delle gravi patologie legate all’amianto respirava le polveri killer senza protezioni e senza conoscerne il rischio. L’Inail nel 2015 aveva accertato la malattia professionale di ispessimenti pleurici con una menomazione all’integrità psicofisica del 3%, spiegando così che l’operaio non avesse diritto ad alcun indennizzo perché, per ottenerlo, per legge sono necessari postumi invalidanti del 6%. Eppure già dal 2015 la sua vita era notevolmente cambiata, aveva difficoltà respiratoria, stanchezza eccessiva, preoccupazione costante di potersi ammalare di mesotelioma e fastidio per la necessità di continui controlli sanitari. Aveva anche modificato i suoi rapporti con i familiari e con gli amici preoccupato di aver esposto la moglie e i figli all’amianto. L’angoscia era tale che il 23 febbraio 2016 era arrivato a tentare il suicidio. All’epoca che gli avevano certificato un disturbo post traumatico da stress subito per l’esposizione all’amianto e all’insorgenza delle placche pleuriche, che rappresentano spesso il primo stadio del mesotelioma. Si tratta di uno dei tumori più aggressivi, causati esclusivamente dall’amianto, purtroppo con esito quasi sempre infausto. “Il Tribunale di Trieste nel 2021 non aveva riconosciuto all’uomo il disturbo psichiatrico quale patologia professionale asbesto correlata, ora la Corte di Appello con questa sentenza, nella quale ha quantificato un danno complessivo liquidato di € 12.573,00 a cui vanno aggiunte le rivalutazioni annuali e gli interessi, apre le porte ad una nuova frontiera del danno e afferma che deve essere risarcito anche il danno psichico, oltre al danno morale. Una vittoria storica perché Visintin non era dipendente dell’Autorità Portuale, bensì della Compagnia Portuale/Coop. Abbiamo ottenuto un significativo risultato che finalmente gli rende un po’ di giustizia, anche se questa somma è minima. Purtroppo questo rischio è sempre sottovalutato, anche in termini risarcitori, nonostante il flagello dell’amianto, che ha ucciso e continua ad uccidere in Trieste e nella Venezia Giulia” – spiega Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, legale del portuale, unitamente all’Avv. Corrado Calacione, che aggiunge: “Claudio ha avuto il merito di non arrendersi all’ostruzionismo dell’Autorità Portuale, che cerca sempre di negare le sue responsabilità, e ha interpretato il suo impegno anche per rendere dignità e giustizia alle decine e decine di colleghi di lavoro che purtroppo sono deceduti”. Per quanto riguarda il Friuli-Venezia Giulia, dall’ultimo rapporto ReNaM il numero dei casi di mesotelioma è di 1346 fino al 2018. La stessa regione ha pubblicato i dati sulla presenza di amianto sul territorio, in particolar modo nella provincia di Trieste ed è stata stimata per difetto in almeno 1 milione di tonnellate, rispetto ai circa 40 milioni del territorio nazionale, con 2.300.000 m² di coperture in cemento amianto ancora presenti.

TORINO

Amianto killer, clamoroso errore: la chiavetta usb non va, salta la sentenza

L’imputato è l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny per il quale era stata chiesta la condanna a 4 anni

La chiavetta Usb dove si trova “il 90% degli atti” del processo Eternit bis è inservibile e la Corte d’appello è costretta a un rinvio. Il colpo di scena oggi, era in programma la sentenza. “Siamo mortificate – hanno spiegato i giudici – ma quando siamo andate a cercare un certo passaggio di una consulenza tecnica non abbiamo trovato nulla. È come se la chiavetta fosse vuota o danneggiata”.

L’ìmputato è l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, per il quale il procuratore generale Pellicano aveva chiesto la conferma della condanna a 4 anni per la morte di due persone dovuta, secondo l’accusa, all’amianto lavorato nello stabilimento di Cavagnolo.

Danno morale derivante dall’esposizione del lavoratore all’amianto (Cass. civ., sez. lav, 17 giugno 2022, n. 19623

Danno morale derivante dall’esposizione del lavoratore a sostanze cancerogene: la Sezione lavoro della Suprema Corte fà da apri-pista.

Nello specifico gli Ermellini: “il danno morale costituisce un patema d’animo, ossia, una sofferenza interna che non è accertabile con metodi scientifici e che, come tutti i moti d’animo, può essere provato in modo diretto solo quando assume connotati eclatanti; diversamente, dovrà essere accertato per presunzioni […].”

La delicata vicenda esaminata dalla Cassazione riguarda il riconoscimento del danno morale, da intendersi come concreta paura di morire, patita da un lavoratore sottoposto quotidianamente all’esposizione all’amianto.

La Corte, in tale ottica, osserva che il lavoratore sottoposto quotidianamente al pericolo della propria incolumità subisce un’offesa della personalità morale autonoma rispetto al danno biologico che è quindi indennizzabile come posta di danno a sé, indipendentemente dalla sussistenza del danno biologico.

La vicenda trae origine dal giudizio promosso dagli eredi di un lavoratore deceduto per cancro per l’accertamento del danno biologico e del danno morale derivante dall’esposizione all’amianto.

Nello specifico, i congiunti del lavoratore lamentano la responsabilità ex art. 2087 c.c. del datore di lavoro per non avere attuato le misure necessarie al contenimento del rischio di intossicazione, causando così, non solo, la malattia mortale, sussumibile nel danno, ma anche la paura di morire, rientrante nel danno morale derivante dall’esposizione all’amianto.

Nel caso in esame, vi erano a carico del lavoratore deceduto due concause della patologia cancerogena: il tabagismo e l’esposizione all’amianto.

Difatti, la Corte d’Appello, correttamente, ha applicato il principio di equivalenza per cui, in presenza di un concorso di cause che cagionino un evento patologico unitario ed indivisibile, occorre considerare tali cause equivalenti.  

Non è possibile svolgere una ripartizione causale tra i due fattori cancerogeni, essi vanno considerati come egualmente responsabili della causazione dell’evento dannoso, con la conseguenza che, la ripartizione tra i due fattori di rischio non riguarda la responsabilità nella causazione del danno, bensì l’entità del risarcimento del danno che deve essere ridotto, in virtù del principio di equivalenza.

Venendo al lamentato danno morale derivante dall’esposizione tossica,  il lavoratore sapeva di essere esposto a sostanze cancerogene ed il fatto che molti colleghi contraessero gravi patologie e, poi, ne morissero, aveva generato in lui l’incertezza del proprio vivere o, in altri, termini, la costante paura di morire.

Il sentimento della “paura”, scaturito da un fatto illecito, integra un’offesa della personalità morale, da cui deriva una lesione – autonoma rispetto al danno biologico – di diritti inviolabili della persona.

Al riguardo, gli Ermellini richiamano le decisioni a Sezioni Unite, (sent. n. 6572/2006 e 26972/2008) secondo cui “ il danno derivante dallo sconvolgimento dell’ordinario stile di vita è risarcibile indipendentemente dal danno biologico, quando, tale sconvolgimento impatta sulla “vita normale” dell’individuo e, quindi, sulla libera e piena esplicazione delle sue abitudini quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti e rafforzati dall’art 8 CEDU, sulla protezione della vita privata.”

Ragionando in tal senso, siccome  lo “sconvolgimento” della vita quotidiana è una sofferenza intima, esso può essere provato mediante presunzioni, sulla base di nozioni di comune esperienza.

La Corte d’Appello di Genova, tuttavia, non si è attenuta a tali principi, non avendo preso in considerazione la prova presuntiva del danno morale derivante dall’esposizione a sostanze tossiche da parte del lavoratore.

I ricorrenti hanno allegato le basi del ragionamento inferenziale per pervenire, attraverso il ricorso alle presunzioni, alla configurazione del danno morale derivante dall’esposizione contestata, personalizzabile e costituito dall’offesa della personalità morale del lavoratore, sottoposto quotidianamente a pericolo per la propria incolumità, da cui, all’evidenza, è derivata una lesione – autonoma rispetto al danno biologico – di diritti inviolabili della persona, oggetto di tutela costituzionale (artt. 2,3 e 32 Cost.).

La Suprema Corte cassa la decisione impugnata, con rinvio in diversa composizione.

Amianto:ex dipendenti Leuci (Lecco)

Amianto, vincono gli ex dipendenti Leuci

Il caso Tre lavoratori a contatto con il pericoloso materiale avevano fatto ricorso per i benefici pensionistici. «Sentenza storica»

Così mercoledì tre ex dipendenti della Leuci di Lecco hanno potuto vedere riconosciuti i propri benefici pensionistici per aver lavorato anni in un ambiente insalubre, a causa della presenza massiccia dell’amianto grazie alla sentenza depositata due giorni fa dal giudice del lavoro del Tribunale di Lecco Federica Trovò.

Oltre trent’anni

Si tratta di Eligio MelesiElisa Zanetti (dal 1968 al 1996) e Adele Riva (dal 1965 al 2000), tre pensionati fortunatamente sani, al contrario di altri ex dipendenti di aziende con stabilimenti e uffici pieni di asbesto. «Ho lavorato lì per 33 anni, dal 1969 fino al 2002, quando sono andato in pensione – racconta Melesi –. Operavo anche con la “giostra”, un forno particolare nelle lavorazioni a mano, tutto in amianto. Non avevamo alcuna protezione contro il materiale, anzi ci dicevano che proteggeva dal calore. La Leuci era nota per avere temperature altissime».

AMIANTO:Marina Bis sentenza di appello

Marina, condannati 4 ex ammiragli per la morte di 6 militari esposti per anni alla fibra dell’amianto: “Sentenza storica

Ribaltata la sentenza di primo grado, la Corte d’Appello di Venezia li ha ritenuti colpevoli di non aver provveduto a proteggere la salute dei lavoratori, esposti per anni sulle navi militari alla fibra dell’amianto senza le necessarie misure di sicurezza e senza averli informati dei rischi cui erano sottoposti

Sono stati ritenuti responsabili della morte per mesotelioma di 6 militari in servizio a bordo di navi della Marina Militare cariche di amianto. Per questa ragione la terza Sezione della Corte di Appello di Venezia ha condannato 4 ex ammiragli ritenuti colpevoli di non aver provveduto a proteggere la salute dei lavoratori, esposti per anni sulle navi militari proprio alla fibra dell’amianto senza le necessarie misure di sicurezza e senza averli informati dei rischi cui erano sottoposti.

Le condanne – E’ stata così ribaltata in secondo grado la sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Padova del cosiddetto processo “Marina bis“. Gli imputati erano accusati di omicidio colposo. Agostino Di Donna è stato condannato a 2 anni di reclusione, Angelo Mariani e Guido Venturoni a un anno e 6 mesi, Sergio Natalicchio a un anno. Tutti, in solido al responsabile civile Ministero della Difesa, sono stati condannati al risarcimento dei danni a favore delle parti civili costituite, con una provvisionale di 50.000 euro a erede. I militari sono morti per mesotelioma e patologie asbesto correlate.

Militare morto per le conseguenze dell’esposizione all’amianto: condanne in appello per omicidio colposo

Francesco Paolo Sorgente, di Vasto, era capitano di Vascello del Genio Navale. Dopo tre anni di battaglie processuali si è concluso il processo di appello “Marina bis”

Era il 25 gennaio 2009 quando Francesco Paolo Sorgente, capitano di Vascello del Genio Navale, morì a Vasto per una tremenda patologia correlata all’esposizione all’amianto.

Sorgente aveva 65 anni, ed era stato in servizio nella Marina Militare dal 12 marzo 1968 fino al 30 gennaio 2000: nello svolgimento delle sue funzioni era stato professionalmente esposto a polveri e fibre di amianto. Si ammalò gravemente e morì dopo una lunga sofferenza.

Nel tardo pomeriggio di ieri, dopo tre anni di battaglie processuali, si è concluso il processo di appello “Marina bis”, che ha visto imputate sei persone, tutte accusate di omicidio colposo per la morte di 11 appartenenti alla Marina Militare, fra cui il vastese Francesco Paolo Sorgente, che durante il servizio hanno respirato amianto nelle unità navali. Gli imputati dovranno pagare anche una provvisionale immediatamente esecutiva pari a 50 mila euro ad erede.

La III sezione della Corte di Appello di Venezia, presieduta dalla dottoressa Patrizia Vincenzina Montuori, ha riformato parzialmente la sentenza di assoluzione pronunciata dal tribunale di Padova e ha riconosciuto la penale responsabilità in merito alla morte delle vittime dell’amianto in Marina. È stata quindi emessa la condanna per il reato previsto di omicidio colposo anche in danno di Sorgente, i cui eredi sono stati rappresentati e difesi dall’avvocato Ezio Bonanni, Presidente Osservatorio Nazionale Amianto.

Decisiva la super perizia disposta dalla stessa Corte di Appello, su richiesta delle parti civili, che ha confermato e ribadito la sussistenza di un rapporto causale tra l’esposizione patita da ogni singolo lavoratore e l’insorgenza della relativa malattia, nonché l’altissima concentrazione di polveri e fibre di amianto inalate dai Marinai. “Giustizia è fatta per la famiglia Sorgente, e la Marina affonda sull’amianto – il commento dell’avvocato Bonanni – . Continueremo a sollecitare le bonifiche, la messa in sicurezza delle nostre unità navali, la tutela giuridica, anche con risarcimenti, senza la necessità, speriamo, di dover sempre ricorrere all’autorità giudiziaria”. 

AMIANTO: RISARCIMENTI

Morì per l’amianto: risarcimento da 1,4 milioni alla famiglia di un ex operaio Pignone

Massa, sentenza del giudice del lavoro su un decesso per mesotelioma 17 GIUGNO 2022

MASSA. Un milione e 470mila euro da risarcire ad una famiglia apuana, l’ennesima, che perse un proprio caro per l’amianto. L’uomo morì per aver lavorato da operaio siderurgico tutta una vita e la sentenza del giudice del lavoro Augusto Lama riconosce agli eredi le cause di una morte per malattia “da lavoro”.

Il ricorso davanti al giudice del lavoro fu portato avanti dai famigliari, dopo la sua morte il nel dicembre 2021: era un operaio della Nuovo Pignone, nella sede di Massa, con specifiche mansioni di saldatore, nel reparto che produceva reattori, scambiatori di calore e serbatoi. Lavorò al Pignone ininterrottamente per 22 anni, dal 1963 al 1985, 8 ore al giorno e per il giudice la morte è relativa conseguenza di una “accertata esposizione a materiali contenenti amianto”.

Morto per amianto nel 2017, Ministero della Difesa condannato a risarcire la famiglia

La sentenza del Tribunale del Lavoro della Spezia arriva 5 anni dopo l’accaduto, quando un operaio morì a causa dell’amianto di cui era rivestito il luogo di lavoro

LA SPEZIA – La sentenza è arrivata quasi 5 anni dopo dalla tragedia. Il Tribunale della Spezia, lo scorso 3 giugno, ha condannato il Ministero della Difesa a 100mila euro di risarcimento alla famiglia di un uomo che, dopo un anno di agonia, è morto nell’ottobre del 2017 a causa di mesotelioma pleurico, provocato dal contatto con amianto presso il luogo dove lavorava.

L’uomo era stato un dipendente civile al Maricommi della Spezia dal 1958 al 1994 come tuttofare. Il luogo dove si recava a lavorare era imperniato di amianto, nei pannelli, nei quadri elettrici, nelle canne fumarie e nelle caldaie. Secondo le testimonianze, il locale adibito a panificio della Marina Militare, nel quale aveva svolto la sua attività con regolare frequenza, era rivestito di amianto e che, per la manutenzione, occorreva entrare addirittura dentro il corpo del forno, sempre rivestito d’amianto. In aggiunta, le protezioni di cui disponeva non erano assolutamente adeguate, visto che si limitavano ad un paio di guanti ed a degli occhiali protettivi.

Proprio l’assenza di difese è stata uno degli elementi di colposita’ emersi a carico del datore di lavoro. Il Giudice ha infatti dichiarato come il Ministero non abbia saputo indicare, nel procedimento, nessun accorgimento concreto preso per salvaguardare lui e gli altri dipendenti, come avrebbe dovuto invece fare, per andare esente da colpe; né di aver provveduto all’aspirazione di “polveri nocive”, elemento definito dall’articolo 21 del dpr 303 del 1956, in ambienti lavorativi. Una mancanza di scelte in un quadro che già dal primo ‘900 rendeva chiaro, secondo il giudice, come la presenza nei luoghi di lavoro dell’amianto dovesse essere sottoposta a particolari cautele (R.D. n. 442/1909 articolo 29, tabella B, n° 12) perché insalubre e pericolosa.

Nel dicembre 2016 l’uomo si era recato al pronto soccorso per dispnea, la cosiddetta fame d’aria. Gli accertamenti clinici avevano portato alla diagnosi di mesotelioma pleurico maligno, di cui sarebbe morto ad ottobre 2017.

Il caso è ancora pendente al Tribunale a Genova, con udienza fissata a settembre prossimo. La richiesta di risarcimento è superiore al milione di euro.

L’avvocato Elisa Ferrarello, legale della famiglia, commenta così: “Siamo profondamente soddisfatti del risultato ottenuto in poco più di due anni, in piena pandemia. Il ricorso introduttivo era stato depositato infatti al Tribunale della Spezia appena il 15 Gennaio 2020 e la sentenza è arrivata il 3 Giugno 2022. E però c’è ancora molto da fare per chi ha lavorato, esposto ad amianto, essendo, come sappiamo, previsto il picco delle patologie asbesto-correlate proprio in questi anni”

Amianto e F.S.: Sentenza

Esposizione all’amianto, a Messina Fs condannata a risarcire eredi direttore di macchina

La corte d’appello di Messina ha riconosciuto che il messinese Antonino Ruello, deceduto nel 2017, ufficiale e poi direttore di macchina su traghetti e sulle unità navali delle Fs per il trasporto passeggeri e merci che hanno fatto la spola tra Reggio Calabria e Messina, è stato esposto ad amianto per 31 anni senza prevenzione e protezione, e ha subito la malattia professionale del tumore uroteliale e alla vescica. Ruello fu colpito da questi due tumori nel 2007 all’età di 63 anni, ed è poi morto a 73 anni dopo aver contratto anche il tumore del colon, lasciando moglie e due figlie, Carmen e Raffaella. In primo grado le sue richieste erano state rigettate e, pertanto, i familiari assistiti dall’avvocato Ezio Bonanni e all’osservatorio nazionale amianto hanno impugnato la sentenza del Tribunale di Messina. La corte d’appello di Messina ha disposto un nuovo accertamento medico legale che ha dimostrato come le fibre di amianto e gli altri cancerogeni presenti nelle navi delle Ferrovie dello Stato hanno provocato il tumore uroteliale e quello alla vescica, ed è per questo che è stato riconosciuto un risarcimento agli eredi di circa 60 mila euro a carico dell’Inail, cui si sono aggiunti anche i risarcimenti a carico di RFI, per circa 40 mila euro euro. Ora la causa proseguirà per il riconoscimento del tumore del colon alla base della morte del ferroviere, sempre per l’esposizione alla fibra killer.