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AMIANTO:Sentenze e Risarcimenti

Dipendente Marina morì per l’amianto, Difesa condannata

Ministero dovrà dare 100 mila euro a moglie e figli

 Il ministero della Difesa è stato condannato a risarcire 100 mila euro ai familiari, moglie e due figli, di un ex dipendente civile della Marina Militare scomparso per mesotelioma nel 2017.

La sentenza, che riconosce il risarcimento del danno al “iure hereditatis”, è stata emessa nei giorni scorsi dal tribunale del lavoro di La Spezia.

Il caso è ancora pendente al tribunale a Genova, competente per lo “iure proprio”, con udienza fissata nel prossimo mese di settembre. In questo caso la richiesta di risarcimento è superiore al milione di euro. Si definiscono danni “iure proprio” quelli subiti dai congiunti (lesione del rapporto parentale) mentre lo “iure hereditatis” rappresenta il danno subito dalla vittima che è risarcibile ai superstiti.
    L’uomo è stato un dipendente civile al Maricommi della Spezia dal 1958 al 1994, praticamente un tuttofare. Secondo l’avvocato Elisa Ferrarello dello Studio Legale Frisani l’amianto era nei pannelli dei quadri elettrici, nelle canne fumarie, nelle guarnizioni delle caldaie. Il giudice ha dichiarato come il ministero non abbia saputo indicare, nel procedimento, nessun accorgimento concreto preso per salvaguardare lui e gli altri dipendenti, come avrebbe dovuto invece fare, per andare esente da colpe; né di aver provveduto all’aspirazione di “polveri nocive”. Una mancanza di scelte in un quadro che già dal primo ‘900 rendeva chiaro, secondo il giudice, come la presenza nei luoghi di lavoro dell’amianto dovesse essere sottoposta a particolari cautele perché insalubre e pericolosa.

Trieste, morti da amianto: nel giro di un anno oltre 7,5 milioni di risarcimenti

Nel 2021 sono più che raddoppiate le sentenze del giudice del lavoro. Importi in media di quasi 500 mila euro

TRIESTE. Da Rfi all’Autorità portuale, dalla Ferriera (all’epoca Italsider) all’Arsenale triestino passando per la Grandi Motori. Sono solo alcune delle realtà per le quali lavoravano le vittime dell’amianto ai cui familiari il Tribunale di Trieste ha riconosciuto un risarcimento. A distanza di decenni dal periodo dell’esposizione alla fibra killer, cresce ulteriormente in sede civile il numero di procedimenti con sentenza di accoglimento.

Dopo

Amianto:Ex Ilva e Montefibre

Ex Ilva: morì per amianto, Fintecna e Telecom risarciscono eredi

Operaio aveva lavorato per varie società dell’appalto

(ANSA) – TARANTO, 01 GIU – Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Taranto, Cosimo Magazzino, ha condannato Fintecna spa e Telecom Italia spa a risarcire in solido gli eredi di un ex operaio dell’appalto dello stabilimento siderurgico morto a 67 anni nel 2016 per mesotelioma pleurico dopo aver lavorato per 20 anni a contatto con l’amianto.

Lo riferisce l’avvocato Mario Soggia, che ha assistito i familiari della vittima.

L’operaio aveva lavorato alle dipendenze di varie società dell’appalto che si sono avvicendate nello stabilimento siderurgico di Taranto.
    Il legale fa rilevare che per il risarcimento, per il quale gli eredi dell’operaio hanno voluto mantenere la riservatezza sulla quantificazione, oltre alla Fintecna, “il Tribunale, per la prima volta in assoluto, ha individuato un’altra società, la Telecom Italia spa, che, pur non avendo alcuna soggettiva responsabilità nella tutela della sicurezza dei lavoratori, è comunque civilmente responsabile dei danni cagionati dalle società che l’hanno preceduta”. (ANSA).

Abbiamo l’amianto nei polmoni”: il dramma degli ex Montefibre

L’azienda ha chiuso nel 2004, lasciando per strada oltre 400 lavoratori. Dopo 18 anni, gli operai hanno scoperto tracce della sostanza tossica: “Esposti senza saperlo. Morti già 80 colleghi”

Non bastavano il licenziamento e la difficoltà di arrivare a fine mese. Gli ex lavoratori Montefibre hanno scoperto di dover affrontare un nemico ancora più spietato: l’amianto. In questi mesi, si sono sottoposti ad analisi che hanno evidenziato, in molti di loro, la presenza della sostanza tossica nei polmoni.

La Montefibre era un’azienda, specializzata nella produzione di poliestere, che ha operato ad Acerra dagli anni ’60 al 2004, anno in cui ha chiuso i battenti lasciando per strada oltre 400 dipendenti tra operai, quadri e dirigenti. “Eravamo solo parzialmente consapevoli della pericolosità delle materie con cui abbiamo lavorato – spiega Mimmo Falduti, un ex operaio – C’è una perizia della Procura di Nola che non solo conferma l’esposizione a materiali tossici, ma anche che ci sono state 80-90 morti per tumori riconducibili a questo”.

Carmine ha scoperto la presenza delle fibre tossiche nei polmoni a novembre 2021: “Sapevo che non producevamo cioccolata – racconta – ma non ero consapevole di lavorare a stretto contatto con l’amianto. Dovevo ripulire una guarnizione che chiamavano ‘la guarnizione di cartone’. Solo anni dopo ho scoperto che era in amianto. I guanti erano in amianto, i caschi anche, così come le tute. Era dappertutto. Adesso è dormiente, ma so che potrebbe risvegliarsi in qualsiasi momento, anche con un raffreddore”. 

Sono in 120 gli ex lavoratori Montefibre che, a 18 anni dalla chiusura dell’azienda, combattono ancora per i loro diritti. Tra questi anche quello della sorveglianza sanitaria. “Le istituzioni non volevano riconoscere il diritto di queste persone ad accedere a controlli periodici – afferma Paolo Fierro di Medicina democratica – solo con la loro lotta hanno ottenuto questo risultato. Eppure era risaputo quali sostanze usasse quell’azienda. Bisognerebbe chiedere conto di questo comportamento alle istituzioni, anche perché il ritardo nel riconoscimento del loro status ha pregiudicato anche il loro pre-pensionamento”. 


  

Amianto e Tribunali

Taranto, operaio muore di tumore per l’esposizione all’amianto: eredi risarciti con 167mila euro

Il giudice del lavoro del Tribunale di Taranto Maria Leone ha riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale per l’importo di 167mila 565,74 euro agli eredi – la moglie e i due figli – di un operaio dipendente di un’azienda (la Chiome srl), operante nell’indotto dell’Arsenale militare, morto per carcinoma polmonare dopo tre anni dalla diagnosi.

Il lavoratore avrebbe contratto la patologia a causa dell’esposizione ad amianto durante la sua attività di carpentiere saldatore elettrico svolta prevalentemente nell’Arsenale di Taranto, dove si occupava di lavori di manutenzione, riparazione e revisione di macchinari a bordo di navi militari.

La somma dovrà essere corrisposta dal ministero della Difesa e dalla Chiome srl. I familiari dell’operaio, che si erano rivolti all’Anmil (Associazione nazionale mutilati e invalidi), sono stati assistiti in giudizio dagli avvocati Maria Luigia Tritto e Cataldo Tarricone

Monfalcone, restano 3 imputati a processo per le morti da amianto in cantiere

A rispondere di omicidio colposo il dirigente Italcantieri Zappi, Schivi e Roxbj dell’ex ditta d’appalto Devidson: 37 le parti offese rispetto alle originarie 48

22 MAGGIO 2022

MONFALCONE Su 48 parti offese, lavoratori deceduti, ne sono rimaste 37 nell’ambito del processo amianto 5. Per undici (tra cui quattro donne che lavavano le tute dei mariti) è intervenuta l’estinzione del reato in virtù della morte degli imputati. L’ultimo, lo scorso anno a 99 anni, l’ex dirigente di Italcantieri Giorgio Tupini.

Nel procedimento a questo punto sono tre a rispondere di omicidio colposo, Antonio Zappi, sempre ex dirigente, e Roberto Schivi, allora capo del personale, nonché Rhode Ronald Roxbj, ex titolare dell’impresa appaltatrice Devidson.

Vittime del dovere: spetta all’erede l’assegno mensile pari a 500 euro

Con sentenza Sezione Lavoro n. 12749, pubblicata in data 21 aprile 2022, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del Ministero della Difesa avverso al riconoscimento dell’assegno mensile, pari a 500 euro, in favore della vedova e dei figli di un dipendente, equiparato a vittima del dovere, deceduto per mesotelioma pleurico.

L’uomo era stato esposto ad amianto pluriennale a bordo delle unità navali della Marina Militare.

La Corte di Appello di Genova aveva confermato, nel 2016, la sentenza del Tribunale che aveva provveduto al riconoscimento della liquidazione ai familiari dell’assegno (ex articolo 2 legge 407/1998) e della relativa perequazione (ex articolo 11 del Decreto Legge 503 del 1992), nella misura prevista dall’articolo 1 comma 238 e 350 del 2003, pari a 500 euro (corrisposto invece dal Ministero alla famiglia con l’importo originario di 250 euro).

Il ricorso del Ministero della Difesa

Il Ministero della Difesa è ricorso in Cassazione avverso alla sentenza della Corte d’Appello di Genova con una sola motivazione:

[…] per avere la corte territoriale trascurato che l’adeguamento dell’assegno poteva esser fatta nei limiti di spesa previsti dalla norma e dunque l’estensione alle vittime del dovere poteva avvenire anche progressivamente, e dunque per importo inferiore a quello previsto dal dpr del 2006 (violazione dell’articolo 1 comma 562- 565 della legge 266 del 2005 e 4 DPR 234 del 2006).

La Cassazione rigetta il ricorso: motivazione infondata

La Cassazione ha giudicato infondato il motivo di ricorso presentato dal Ministero della Difesa, e riconosciuto il diritto dei familiari del lavoratore all’assegno vitalizio mensile pari a 500 euro.

Queste le motivazioni:

  • La disciplina di attuazione dell’articolo 1, comma 565, non aveva infatti il potere di modificare quantitativamente l’emolumento (previsto dalla legge 350 del 2003). Per la modifica infatti occorreva un’espressa previsione, considerata inoltre la necessità di parità di trattamento tra i diversi soggetti tutelati già valutata dal legislatore, che ha previsto l’estensione del beneficio alle vittime del dovere.
  • Il limite di spesa concernente l’estensione dell’emolumento assumerebbe rilievo solo su un piano auto-compensativo:  una volta raggiunto il limite annuale, infatti, l’emolumento graverebbe sulla graduatoria dell’anno successivorestando escluso che l’assistenza venga del tutto meno.
  • Secondo una consolidata giurisprudenza infine, ribadita dalla stessa Corte a Sezioni Unite,
    l’ammontare dell’assegno vitalizio mensile previsto in favore delle vittime del dovere e dei soggetti ad esse equiparati è uguale a quello dell’analogo assegno attribuibile alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, essendo la legislazione primaria in materia permeata da un simile intento perequativo ed essendo tale conclusione l’unica conforme al principio di razionalità-equità d cui all’art. 3 della Costituzione […].

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Morti di amianto

Venezia, morti di amianto: udienze a rilento (la prossima nel 2023). Ma l’imputato ha 92 anni

Tre operai morti di tumore: in aula solo tre volte in un anno e mezzo. Il legale: anticiparle. Parenti delle vittime e imputato hanno diritto a sapere l’esito

La prima udienza dibattimentale si è tenuta il 27 ottobre scorso. La seconda l’altro ieri. La prossima sarà il 29 marzo 2023, per un totale di tre udienze in un anno e mezzo. E questo per un processo in cui i fatti contestati – ovvero la morte di tre operai dell’ex Breda (poi Fincantieri) – risalgono al 2011 e 2012 e dunque sono anche vicini alla prescrizione. Inoltre, last but not least, l’imputato ha 92 anni. Troppo anche per un decano degli avvocati come Elio Zaffalon, che ne ha viste tante nelle aule giudiziarie, ma questa volta non si è trattenuto e ha scritto una lettera al presidente della sezione penale del tribunale di Venezia Stefano Manduzio. «Chiedo che lei voglia autorizzare la giudice a fissare, annullata l’udienza del 29 marzo 2023, tre udienze straordinarie due istruttorie e una per discussione, dislocate nell’ambito di un anno – è scritto nella missiva – onde poter definire il processo entro la metà del 2023 (a 11-12 anni dai fatti)». Tra l’altro il legale aveva già sollecitato tre volte il giudice ad accelerare i tempi, ma la risposta è stata che tutte le udienze da qui a marzo sono occupate da processi di «codice rosso», ovvero quei reati di violenza su donne e famigliari.

Il processo per omicidio colposo

Il processo è quello che vede come imputato Rinaldo Gastaldi, all’epoca direttore generale e di stabilimento di Breda e già condannato a 3 anni e 4 mesi nel «maxi-processo» sull’uso dell’amianto nel cantiere navale di Porto Marghera. Poi però sono emersi altri decessi e il pm Giovanni Gasparini, ultimo titolare di un fascicolo passato di mano in mano, ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio. Due di loro erano stati stroncati da un mesotelioma pleurico, il terzo da un carcinoma polmonare: secondo l’accusa la causa delle neoplasie sarebbe proprio aver lavorato negli anni Settanta e Ottanta a stretto contatto con l’amianto, che veniva usato per le coibentazioni, senza adeguati dispostivi di sicurezza. Gastaldi è accusato di omicidio colposo.

Parenti delle vittime e imputato hanno diritto di sapere l’esito

Ma il processo va a rilento, anche perché – lamenta Zaffalon, che è l’avvocato di parte civile per conto del sindacato Cisl – le udienze sono state sempre fissate di pomeriggio (la prossima alle 13.30) e dunque i tempi sono stretti e spesso anche ridotti dai ritardi di quelle precedenti. «L’udienza di mercoledì era fissata alle 13 ed è slittata alle 15.45, quando sono stati assunti un medico del lavoro e un medico legale, mentre un terzo medico e un sindacalista sono stati rinviati dopo aver atteso ore – sottolinea – Modalità di trattazione del processo che non appaiono accettabili». Ad avere interesse alla conclusione del processo, a detta del legale, dovrebbero essere tutte le parti. «Ai prossimi congiunti dei lavoratori deceduti spetta (almeno) di sapere se c’è stata o no responsabilità per il decesso dei loro cari – afferma – ma anche allo stesso imputato». Zaffalon ricorda per esempio un processo analogo, quello all’ex dirigente Enel Nerio Tabacchi, in cui l’imputato ha 87 anni e i decessi sono avvenuti tra il 2013 e il 2015. In quel caso si stanno celebrando udienze a cadenza mensile.

Risarcimento

Operaio morto per amianto a Massa: condannata la Nuovo Pignone

Risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari La Nuovo Pignone è stata condannata a risarcire di 1.146.926 di euro per danni ai due figli e ai due nipoti di un operaio, morto il 22 dicembre 2018, per mesotelioma pleurico polmonare. Secondo il giudice, in base a una consulenza tecnico-ambientale, l’operaio nel corso del suo impiego di saldatore dal 1965 al 1986 nello stabilimento della Nuovo Pignone di Massa (che produce da reattori a serbatoi) avrebbe lavorato a contatto con materiali contenenti amianto; inoltre ha svolto mansioni in condizioni ad alto rischio di inalazione di fibre di amianto in misura superiore al limite normativamente previsto. In particolare, secondo il dispositivo della sentenza emessa lo scorso 6 maggio, il dipendente avrebbe avuto un’esposizione superiore al limite previsto dalla normativa di 100 fibre di amianto per litro annue su una media di 8 ore di lavoro. L’operaio asarebbe stato esposto a 231 fibre litro annue dal 1965 al 1975, a 116 dal 1975 al 1981 e a 290 fibre litro annue dal 1981 al 1984. L’esposizione cumulativa totale, si legge, è stata “di 30,50 ff/cc anni, pari a 30.500 fibre litro anni, riferita ai valori fissati dalla Conferenza internazionale di Helsinki dell’anno 1997 ed ai relativi protocolli, quindi superiore alla quota di esposizione complessiva di 25.000 fibre litro anni fissata dal Consesso internazionale suddetto”. Secondo il giudice, quindi, l’operaio “ha comunque contratto una patologia oncologica professionale, da ritenere pertanto causalmente amianto correlata, sia pure nel senso parziale suddetto, diagnosticata come un mesotelioma pleurico polmonare”, che poi lo ha ucciso.

Processo Eternit

“Amianto e mesotelioma: tutti innocenti?”

A Roma un convegno che controbatte alle tesi difensive

Venerdì mattina, a partire dalle ore 10, la Sala Capitolare del convento di Santa Maria sopra Minerva a Roma ospiterà il convegno “Amianto e mesotelioma: tutti innocenti?”. Il simposio si occuperà, come recita il sottotitolo, di “aspetti biologici ed epidemiologici dell’esposizione ad amianto e conseguenze giuridiche”. Il convegno è organizzato su iniziativa della senatrice Tatjana Rojc (Pd).

Anticipa il comitato organizzatore: «Nonostante la certezza dell’esposizione di lavoratori e cittadini, i dirigenti delle grandi aziende vengono assolti in cassazione dalle accuse per migliaia di decessi causati dall’amianto. Discutiamo le motivazioni d’inversione di una giurisprudenza che sembrava consolidata esponendo le evidenze biologiche ed epidemiologiche delle malattie asbesto-correlate la cui confutazione in tribunale porta alle assoluzioni: la teoria multistadio per lo sviluppo della cancerogenesi, il ruolo del rapporto dose/incidenza fra esposizione all’amianto e insorgenza delle malattie, il significato del concetto di induzione dei tumori asbesto correlati, l’estensione delle leggi dell’epidemiologia al caso singolo». Scopo del convegno è «verificare se davvero permangono opinioni scientifiche divergenti su questi argomenti e quale peso esse abbiano nei tribunali dove sono proposte come controverse e nel giudizio prevalente della comunità scientifica dove, in assenza di conflitto di interesse, sono ampiamente condivise». Si tratta, dunque, di un incontro direttamente finalizzato a controbattere alle posizioni difensive di Eternit.

Tra i relatori della sessione pomeridiana figurano anche la presidente di Afeva Giuliana Busto, l’avvocato Laura Mara (legale di Medicina Democratica e patrono di parte civile nel processo Eternit-bis a Novara), Edoardo Bai (medico consulente di parte civile all’Eternit-bis), Alessia Angelini (ingegnere chimico consulente della Procura nel processo Eternit-bis a Novara).

Risarcimento

Respiravano amianto in fabbrica Ora la pensione è più pesante

Il “risarcimento” a tre ex operai di quelle che erano le officine ferroviarie di Costa Masnaga

Nella foto una bonifica C’è poi il caso della vecchia fabbrica lariana di lampadine Leuci, dove erano 800 i lavoratori soprattutto donne
Nella foto una bonifica C’è poi il caso della vecchia fabbrica lariana di lampadine Leuci, dove erano 800 i lavoratori soprattutto donne

Nella foto una bonifica C’è poi il caso della vecchia fabbrica lariana di lampadine Leuci, dove erano 800 i lavoratori soprattutto donne

Hanno lavorato per anni a loro insaputa in un ambiente infestato di amianto. Per questo tre ex operai di quelle che erano le officine ferroviarie di Costa Masnaga riceveranno una pensione più alta. Lo prevede la legge, in base alla quale ai lavoratori che sono stati esposti per all’amianto spettano alcuni benefici pensionistici. Poiché sono a riposo ormai da tempo la loro pensione dovrà essere adesso ricalcolata e rivalutata.

Per ottenere il riconoscimento di ciò che è un loro diritto le tre ex tute blu hanno dovuto però fare causa all’Inps. Ad assisterli durante la causa è stato l’avvocato Roberto Molteni, che aveva già vinto una prima vertenza nel 2019. “La battaglia legale è cominciata nel 2010-2011 – ha spiegato l’avvocato –. I primi ricorso in tribunale a Lecco e in Corte d’Appello a Milano sono stati persi, fino a che nel 2019 abbiamo ottenuto un’importante sentenza in Cassazione”. È stato un verdetto che ha fatto e sta facendo scuola: “Altri lavoratori tra cui i tre che hanno vinto l’ultima causa hanno potuto beneficiare di questo beneficio contributivo. Viene riconosciuto che avendo loro lavorato per oltre 10 anni in un ambiente esposto all’amianto con un’esposizione oltre la soglia di 100 fibre per litro d’aria e quindi in un ambiente pericoloso, hanno diritto al riconoscimento di una maggiore contribuzione”. Chi ad esempio è andato in pensione con 35 anni di anzianità di servizio è come se fosse andato in pensione con 40. Ad emettere il pronunciamento è stata la giudice del tribunale del lavoro Federica Trovò. L’avvocato Roberto Molteni è anche membro del Comitato legale del Gam di Lecco, il Gruppo aiuto mesoteliama, fondato da Cinzia Manzoni, con cui oggi è a Roma per un convegno sul tema al Senato. Insieme stanno inoltre portando avanti un’altra causa analoga anche per i lavoratori dell’ex Leuci, la vecchia fabbrica di lampadine di Lecco, dove 800 lavoratori, soprattutto donne, hanno lavorato in uno stabilimento saturo di amianto senza alcuna protezione. Daniele De Salvo

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2 Maggio 2022

Mercato San Severino, si ribalta con il trattore: muore a 25 anni

Il mezzo ha schiaciato il giovane. Inutile ogni tentativo di soccorso

Mercato San Severino (Salerno), 2 maggio 2022 – Un altro morto, proprio il giorno dopo il Primo Maggio e la denuncia dei sindacati di come sia tragicamente facile perdere la vita sul lavoro. Un ragazzo  di 25 anni è morto in un incidente mentre era alla guida di un trattore in un terreno. E’  accaduto nella tarda mattinata di oggi ad Acquarola, località montana del comune di Mercato San Severino, nel Salernitano.

Secondo una prima ricostruzione fatta dai carabinieri, il mezzo agricolo si è ribaltato schiacciando il 25enne. Per l’uomo, originario di Mercato San Severino, non c’e’ stato nulla da fare, nonostante l’intervento celere dei sanitari del 118. A lanciare l’allarme è stato un familiare della vittima. Sul posto, anche i militari dell’Arma della Compagnia di Mercato San Severino che hanno avviato gli accertamenti del caso. 

Proprio ieri, in occasione del Primo Maggio Festa del Lavoro,  era stato ricordato come nel 2021 ci sono stati  1.221 morti sul lavoro e che in questi primi mesi c’è stato un aumento del 47% degli incidenti sul lavoro rispetto al 2021, con quasi 300 vittime

Roma, operaio morto alla Farnesina: morì sul colpo. Un funzionario sentì gridare “aiuto”

Eseguita oggi l’autopsia sul corpo di Fabio Palotti: “Fatali le gravissime lesioni da schiacciamento”. Esclusa l’agonia 

Roma, 2 maggio 2022 – Fabio Palotti è morto sul colpo, le gravissime lesioni da schiacciamento riportate dal’operaio escludono l’agonia. Questi i primi risultati dell’autopsia svolta oggi 2 maggio sul corpo dell’uomo di 39 anni morto mentre stava facendo manutenzioni a un ascensore alla Farnesina. Dall’esame autoptico, eseguito, all’istituto di medicina legale del Policlinico Gemelli, sarebbe emerso un quadro devastante di lesioni, tali da non lasciare scampo all’ascensorista  e da escludere un’agonia.

Per quanto riguarda l’orario esatto della morte serviranno ulteriori esami anche se al momento non si esclude che il decesso sia arrivato tra le ore 18.25 e le 19 del 27 aprile. Probabilmente le grida di aiuto sentite da un funzionario del ministero si riferiscono al momento in cui Palotti ha intuito che la cabina si stava sganciando. 

Al momento non è escluso che l’operaio, ritrovato senza vita giovedì mattina da un collega, possa essere morto mercoledì pomeriggio quando il suo telefono ha smesso di funzionare. Sempre in quelle ore di mercoledì un funzionario della Farnesina sentì qualcuno urlare “aiuto” e si rivolse ai carabinieri del presidio interno al ministero degli Esteri che effettuarono un sopralluogo senza però  trovare nessuno. 

L’indagine della Procura

L’indagine della Procura di Roma intanto prosegue, al momento il fascicolo è contro ignoti e l’ipotesi di reato è omicidio colposo. Gli investigatori hanno ascoltato i colleghi di Palotti e il titolare dell’azienda per quale lavorava come ascensorista. Chi indaga ha accertato che il 39enne quel pomeriggio era al lavoro nel vano da solo così come prevede il protocollo per gli interventi di ordinaria amministrazione. Aveva preso servizio alle 14,30 e il suo turno terminava alle 22. Tra gli atti dell’indagine c’è anche una nota di servizio in base alla quale tra le 18,25 e le 19 un funzionario del ministero ha sentito una voce maschile gridare “aiuto”.

Le porte degli ascensori risultavano chiuse anche se su questo punto risposte potrebbero arrivare dall’analisi delle telecamere di sicurezza presenti sui pianerottoli. Un elemento certo è che i colleghi sapevano che Palotti era di turno e doveva effettuare l’intervento di manutenzione. Come riferito dal legale dei familiari l’allarme della compagna non è scattato subito perché quel giorno avevano avuto un piccolo diverbio e quindi poteva starci che quella sera volesse stare da solo e passare la notte dai genitori.

Giovedì mattina la moglie ha chiamato i genitori per sapere se avessero notizie del marito. I genitori erano stati contattati pochi istanti prima da un collega del figlio allarmato della presenza dell’auto nel parcheggio della Farnesina. Dopo pochi minuti hanno ricevuto la telefonata in cui gli è stato detto che il figlio era morto. Per accertare, invece, la dinamica di quanto avvenuto il pm Antonino Di Maio ha disposto una consulenza sulla cabina-ascensore: l’obiettivo è capire se si è verificata una anomalia nel funzionamento della modalità “manutenzione” o l’operaio si sia dimenticato di inserirla prima di iniziare il lavoro. 

Sentenze amianto F.S. 2022

Sono state condannate quattro persone nel processo sullo smaltimento dell’amianto da parte di Isochimica per conto di Ferrovie dello Stato

Venerdì, con una sentenza di primo grado, il tribunale di Avellino ha condannato quattro persone a 10 anni di carcere al termine del processo che riguardava lo smaltimento dell’amianto di carrozze ferroviarie da parte di Isochimica per conto di Ferrovie dello Stato negli anni Ottanta. Sono stati condannati Vincenzo Izzo e Pasquale De Luca, rispettivamente responsabile della sicurezza di Isochimica e il suo vice, e Aldo Serio e Giovanni Notarangelo, funzionari di Ferrovie dello Stato, per disastro doloso, omicidio colposo, lesioni personali e rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro.

Il tribunale ha anche disposto il pagamento di un risarcimento di 50mila euro per ognuna delle famiglie dei 33 operai che negli anni erano morti per patologie correlate all’esposizione all’amianto. Sono invece stati assolti gli altri 22 imputati, tra cui c’erano l’ex sindaco di Avellino, Giuseppe Galasso, e i membri della giunta comunale del tempo.

Negli anni lo smaltimento dell’amianto da parte di Isochimica era stato oggetto di numerose denunce, la prima da parte di WWF, nel 1986. Il sindaco di Avellino, Gianluca Festa, ha detto che i capannoni di Isochimica, ormai chiusa da tempo, verranno usati per ospitare fiere e mercati.

l giudice del Tribunale di Roma, Francesca Vincenzi, ha condannato Ferrovie dello Stato al risarcimento di 300 mila euro alla famiglia di un macchinista di Palermo morto nel 2015 di mesotelioma per esposizione alla fibra killer. L’uomo aveva lavorato nelle FS per 30 anni, dal 1967 al 1996, come macchinista, sempre esposto all’amianto senza dispositivi di protezione. Prima presso il deposito locomotive di Catania, poi in quello di Palermo e Caltanissetta. Per qualche mese fu addetto alla conduzione di treni in Sicilia. In ultimo, infine, nel deposito locomotive di San Lorenzo a Roma.

ANSA) – FOGGIA, 22 FEB – Rete ferroviaria italiana è stata condannata dal Tribunale di Roma a risarcire di 200.000 euro la vedova e i due figli di un operaio di Foggia morto all’età di 69 anni di mesotelioma da esposizione ad amianto.

Il ricorso era stato presentato dagli avvocati Daniela Cataldo ed Ezio Bonanni, quest’ultimo presidente dell’ osservatorio nazionale Amianto.


    Stando alla ricostruzione dell’accaduto fornita proprio dall’associazione, dal 1969 la vittima ha lavorato come aggiustatore meccanico nelle officine grandi riparazioni di Foggia di Rfi occupandosi della manutenzione dei rotabili ferroviari, motori, tubazioni, cavi elettrici. Dopo 14 mesi, è specificato, gli è stato diagnosticato un mesotelioma da esposizione ad amianto. E’ morto a 69 anni lasciando la moglie di 63 anni, e i due figli di 37 e 33 anni. La società, a quanto viene riferito dall’osservatorio, aveva contestato il ricorso affermando che “solo a partire dalla metà degli anni ’70 vi è stata la presa di coscienza circa la pericolosità della esposizione a fibre in amianto”. Il giudice Antonella Casoli ha richiamato precedenti sentenze ha ribadito la responsabilità per aver esposto l’operaio “a elevatissime concentrazioni di polveri e fibre di amianto, contenute nei materiali manipolati e comunque aerodisperse nell’ambiente di lavoro”. Secondo il giudice Rfi avrebbe “omesso di mettere a disposizione dei lavoratori dispositivi di protezione individuale, quali mascherine e tute da lavoro e di informare il lavoratore sui rischi connessi all’amianto”. (ANSA).

Il Tribunale di Vicenza ha condannato R.F.I. – Rete Ferroviaria Italiana S.p.a. a un ingente risarcimento dei danni conseguenti il mesotelioma pleurico causato da esposizione a fibre di amianto e il conseguente decesso di un dipendente di soli 57 anni. A dare la notizia un comunicato della Cgil Padova. I familiari della vittima sono stati assistiti dal Inca Cgil, dalla Filt Cgil e dagli Avvocati Giancarlo Moro e Camilla Cenci. 

Il Giudice del Lavoro, Gaetano Campo, ha liquidato in favore della vedova e dei tre figli, uno dei quali ancora minorenne all’epoca del decesso del padre la complessiva somma di € 1.004.000,00 per i danni subiti a causa della malattia e del decesso del loro congiunto.

Il lavoratore, assunto nel 1984 e ancora in forze all’epoca della diagnosi, aveva lavorato presso le Officine Grandi Riparazioni di Vicenza e le Officine Manutenzione Veicoli di Padova come meccanico manutentore, ed era stato impiegato anche nelle operazioni di bonifica dell’amianto delle carrozze ferroviarie.

L’esposizione dei dipendenti delle ferrovie ad amianto è dato notorio, documentato dell’elevata percentuale di mesoteliomi sviluppati tra il personale addetto alla manutenzione, ma anche al personale di macchina.

In attesa delle motivazioni della sentenza, la rilevante somma riconosciuta trova giustificazione nella giovane età della vittima e dei familiari superstiti, nonché nell’accertamento della responsabilità di Ferrovie nella causazione della malattia, per non aver concretamente e tempestivamente adottato le misure idonee a salvaguardare la salute dei lavoratori, omettendo di individuare materiali diversi in sostituzione all’amianto e di fornire ai dipendenti adeguati dispositivi di protezione atti a eliminare o comunque ridurre significativamente l’esposizione a polveri di amianto.