Archivi categoria: Sentenze

Amianto : Sentenze

È morto a 50 anni a Montesilvano il colonnello Raffele Acquafredda, a causa delle esposizioni ai cancerogeni. Condannato il Ministero della Difesa a riconoscere i benefici previdenziali in favore del figlio della vittima, esposta ad uranio e amianto killer nelle missioni di guerra.

La Corte d’Appello L’Aquila, con sentenza appena passata in giudicato, ha accolto il ricorso presentato dall’Avvocato Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, e ha condannato il Ministero della Difesa a riconoscere le prestazioni previdenziali in favore del figlio orfano della vittima del dovere, Colonnello Raffele Acquafredda, ad erogare le prestazioni/benefici quale superstite di vittima del dovere. All’orfano dovrà essere liquidato un importo di circa 250mila euro per i ratei arretrati e percepirà per tutta la vita circa 2100 euro al mese di vitalizi

Amianto : Sentenze

Amianto, tribunale Vercelli condanna l’Inail a risarcire una vedova

La donna era moglie di un operaio 67enne morto di mesotelioma. Trasportava Eternit per una ditta di Casale Monferrato.

Il tribunale di Vercelli ha condannato l’Inail al risarcimento previdenziale in favore della vedova di Vincenzo Patrucco, ex operaio di Casale Monferrato (Alessandria), che durante la sua attività lavorativa era stato esposto all’amianto. amianto che aveva provocato la morte dell’operaio all’età di 67 anni per un mesotelioma pleurico. Rita Sempio,
assistita dall’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto, riceverà mensilmente un’indennità di 1.740 euro, e tutti gli arretrati per una cifra di circa 150mila euro. La sentenza di condanna, spiegano dall’Osservatorio, è di gennaio, ma solo ora è passata in giudicato. Patrucco lavorava come trasportatore di cemento-eternit per una ditta casalese, esponendosi all’asbesto senza protezioni. La diagnosi di mesiotelioma è del 2016; dopo il decesso del marito, la donna si è vista respingere dall’Inail il riconoscimento della malattia professionale, e si è affidata al legale che ha presenta ricorso. I giudici di Vercelli hanno accolto le istanze del legale e condannato l’ente all’indennizzo. “L’Inail continua a negare il riconoscimento del mesotelioma causato dall’amianto e costringe i familiari a intraprendere lunghe azioni giudiziarie – commenta Bonanni -. La nostra battaglia non finisce qui, agiremo per avere dall’Inps anche le maggiorazioni contributive e la liquidazione della pensione di reversibilità”.

Amianto : Sentenze

Avon e il talco all’amianto. Maxi risarcimento a una vittima

IL TALCO, AMPIAMENTE UTILIZZATO IN PRODOTTI COSMETICI E PER LA CURA DELLA PERSONA, È STATO AL CENTRO DI POLEMICHE CHE RIGUARDANO LA SUA CONTAMINAZIONE DALL’AMIANTO, MINERALE PERICOLOSO E CANCEROGENO. LA QUESTIONE HA PORTATO A NUMEROSE CAUSE LEGALI E A PESANTI RESPONSABILITÀ PER LE MULTINAZIONALI COINVOLTE, TRA CUI JOHNSON & JOHNSON E AVON PRODUCTS. QUEST’ULTIMA DOVRÀ CORRISPONDERE UN RISARCIMENTO DI 24,4 MILIONI DI DOLLARI ALLA FAMIGLIA DI CIPRIANO RAMIREZ, UN EX BIDELLO CHE HA SVILUPPATO MESOTELIOMA PLEURICO


Amianto : Discariche

Niente amianto nella discarica di Mattie: la rivolta dei sindaci valsusini ferma il progetto

Dovevano arrivare in dieci anni oltre 100 mila metri cubi di materiali asbestiferi provenienti da bonifiche edili

Le parole «No amianto a Mattie» da una ventina di giorni accolgono gli automobilisti lungo i tornanti della strada che sale verso il piccolo paese valsusino. E adesso sembrano più una constatazione che un auspicio.

Dopo l’allarme degli ultimi giorni, oggi Mattie e tutta la Val Susa possono, infatti, tirare un sospiro di sollievo: ieri pomeriggio l’assemblea straordinaria dei sindaci soci di Acsel ha decretato il ritiro del progetto di riapertura della discarica di Camposordo (Mattie), bocciando di fatto l’idea dell’azienda di stoccare in dieci anni oltre 100 mila metri cubi di materiali asbestiferi provenienti da bonifiche edili in quello che un tempo era il luogo di smaltimento dei rifiuti prodotti quotidianamente nei 39 Comuni della Valle.

A fine giugno, quando è diventato di dominio pubblico che Acsel aveva avviato le procedure di valutazione d’impatto ambientale per riaprire l’ex discarica e smaltirvi all’interno ingenti quantità di amianto, in Val Susa era scattato l’allarme. In pochi giorni sono state convocate assemblee spontanee dei residenti, partite mobilitazioni, nate raccolte firme. Appena superato lo stop all’attività amministrativa per la campagna elettorale, la settimana scorsa anche i Comuni di Susa e Mattie, i più a ridosso della discarica, hanno bocciato ufficialmente l’idea di Acsel. Portando all’attenzione di tutti i Comuni il tema che lasciava aperta, ormai, un’unica strada: il ritiro del progetto amianto.

L’esito scontato dell’assemblea straordinaria dei sindaci convocata per ieri su sollecitazione del presidente dell’Unione montana, Pacifico Banchieri, lascia tuttavia irrisolto il problema di fondo dell’ex discarica. Ovvero la gestione futura. L’idea di Acsel di utilizzarla per “tombarci” migliaia di metri cubi di amianto negli stessi anni in cui la piana di Susa sarà già interessata dai lavori, e dal via vai di camion, per lo scavo delle gallerie della Torino-Lione, non era delle più felici. Ma resta attuale la necessità di trovare anno dopo anno circa 15 milioni di euro per mettere in sicurezza dalla produzione di percolato le “vasche” (soprattutto la numero uno, la più vecchia, risalente agli anni ’80-’90) della discarica dismessa

La Rai lascia la storica sede Viale Mazzini per bonifica dell’amianto: “Era una trappola mortale”

La Rai lascia temporaneamente la sede storica di viale Mazzini per lavori di ristrutturazione nei quali rientra la rimozione di amianto. Un mese e mezzo fa la morte di Marius Sodkiewicz e Franco Di Mare, due eventi che hanno probabilmente accelerato le operazioni di qualcosa che si poteva fare tempo fa.

Le morti di Sodkiewicz e Di Mare

Da quanto si apprende da fonti interne, la ricerca di un nuovo immobile ad uso temporaneo in affitto come alternativa a viale Mazzini, nell’ottica di fare dei lavori di ristrutturazione legati all’amianto, risale a molto tempo fa. Ancor prima della pubblicazione del piano immobiliare recente, la Rai aveva pubblicato annunci per ricerche di immobili, con bandi o gare per strutture alternative nelle quali trasferire i suoi uffici. L’esigenza è legata alle condizioni fatiscenti di viale Mazzini, in particolare proprio quelle riferite alla certificata presenza di amianto che mai era stato completamente rimosso. La novità recente è, appunto, che è stato trovato questo immobile e si sono rotti gli indugi, dando mandato di firmare il contratto. Come si legge sul sito di ONA rispetto alle condizioni della sede di Viale Mazzini: “La sede è stata vista come un simbolo di modernità e innovazione architettonica. Tuttavia, come molte strutture dell’epoca, l’amianto, ampiamente utilizzato per le sue proprietà isolanti e ignifughe, l’ha resa una trappola mortale. Marius Sodkiwicz, e Franco Di Mare, scomparsi a causa del mesotelioma lo scorso maggio, sono due casi emblematici del rischio asbesto”.

Amianto : Sentenze

Antonio Balestrieri morto per l’amianto: condanna confermata per l’imprenditore svizzero

“I polmoni degli operai si riempivano del liquido pleurico del mesotelioma e morivano ad uno a uno. Poi anche i loro familiari, perché lavavano le tute”. Una sentenza che “conforta un po’, dopo la delusione del primo grado”, commenta il presidente dell’Osservatorio nazionale amianto

Il magnate svizzero Stephan Ernest Schmidheiny è stato riconosciuto colpevole per la morte di Antonio Balestrieri, uno degli operai dello stabilimento Eternit di Bagnoli, a Napoli, deceduto a causa di prolungata esposizione all’amianto.

La corte d’assise di Appello di Napoli ha infatti confermato la condanna a 3 anni e mezzo di carcere inflitta già in primo grado all’imprenditore 76enne per omicidio colposo. “La sentenza ci conforta un po’, dopo la delusione del primo grado, le cui richieste dei pubblici ministeri sono state in gran parte disattese”, commenta l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto che ha reso nota la sentenza.

Operai morti ad uno ad uno, poi anche i loro familiari”

“Il processo – spiega la nota dell’Osservatorio – ha evidenziato come l’uso dell’amianto fosse senza cautele, privo di confinamento e con le maestranze ignare e sprovviste di mezzi di protezione. Sia all’interno dello stabilimento che all’esterno c’era amianto in sacchi di juta privi di chiusura ermetica scaricati dalle navi senza che i lavoratori fossero a conoscenza del rischio. Gli operai si ammalavano di asbestosi, perché avevano i polmoni pieni di polvere, che si riempivano di liquido pleurico, quello del mesotelioma. E così, giorno dopo giorno, i necrologi all’ingresso dello stabilimento, e nelle zone circostanti del quartiere Bagnoli, a Pozzuoli e al Vomero. Così uno ad uno, gli operai sono tutti deceduti, e poi anche i loro familiari, perché lavavano le tute, o perché respiravano le polveri dai capelli e dalla pelle”.

Il processo cosiddetto Eternit Bis è diviso in 4 filoni, scaturiti dalle varie inchieste sull’ex stabilimento. Il primo processo Eternit si è chiuso 10 anni fa con la dichiarazione di avvenuta prescrizione per il reato di disastro ambientale da parte della corte di Cassazione e l’annullamento delle condanne per gli imputati. La sentenza di oggi, rappresenta invece “un ulteriore tassello per assicurare giustizia alle vittime dell’amianto”, secondo Bonanni. Confermata anche la fondatezza della richiesta di risarcimento del danno dell’Osservatorio, costituitosi parte civile con l’avvocata Flora Abate. 

Operaio di Livorno morto per l’esposizione all’amianto: famiglia risarcita per 600.000

L’ex dipendente del Cantiere Orlando è deceduto a 66 anni, un anno dopo l’insorgenza della malattia. Condannato il colosso Fincantieri

LIVORNO. Nel 2015 gli è stata diagnosticata «un’eteroplasia polmonare destra, tipizzata in carcinoma polmonare con cellule squamose». Un anno più tardi, purtroppo, è morto a 66 anni. Quella malattia – secondo il tribunale – l’ha contratta al lavoro, al Cantiere Orlando. Dopo quasi dieci anni dalla tragedia Fincantieri è stata condannata in primo grado dal giudice del lavoro di Livorno a risarcire la moglie e il figlio dell’operaio livornese, assistiti dall’avvocata Antonella Faucci, per 599.510 euro fra danni patrimoniali e non patrimoniali e al pagamento di 12.296 euro di spese di lite, che con gli interessi in realtà salgono a circa 640.000 euro.

L’uomo – come si legge nel dispositivo pubblicato il 25 giugno – aveva lavorato nel Cantiere navale dal 1974 (da quando aveva 24 anni) al 2000, quando è andato in pensione. Fino al 1982 come marinaio ponteggiatore, dall’82 all’84 come carpentiere in ferro, dall’84 all’86 di nuovo come marinaio ponteggiatore e dall’87 al ‘95 in qualità di montatore impianti. La società, nel 1984, era stata rilevata da Fincantieri. In qualità di ponteggiatore «ha lavorato sia a bordo di navi che all’interno dei capannoni – recita la sentenza – sia nella fase di costruzione delle navi che in quella di riparazione. I lavoratori con la qualifica di ponteggiatore, accedevano in modo non occasionale, ma prestabilito ed organizzato, a bordo delle navi in riparazione. L’esposizione si sarebbe quindi verificata durante le attività lavorative sopra descritte. Lui aveva lavorato in precedenza in vetreria, addetto alla produzione (dal 1965 al 1967) e come tubista (periodo dal 1971 al 1974). Sia per quanto riguarda il lavoro in vetreria, che come tubista, è verosimile che abbia avuto contatto con materiali contenenti amianto. Infatti nel passato, l’industria del vetro ha fatto largo uso di materiali contenenti amianto, dalle coibentazioni dei forni a bacino ai materiali di consumo. L’industria del vetro cavo meccanico, così chiamato per distinguerlo dal vetro cavo artistico, faceva uso di tessuti per il rivestimento delle parti di macchine che avevano contatto con il manufatto appena formato, e quindi ad una temperatura tale che qualsiasi contatto con materiali conducenti il calore ne avrebbe provocato il rapi do raffreddamento e quindi la rottura. L’amianto aveva quindi la funzione di termoisolante e di conseguenza veniva interposto tra le parti metalliche e i manufatti di vetro».

Amianto : Sentenze

Amianto nelle Ferrovie, condannato l’Inail

Riconosciuta la malattia professionale di un dipendente deceduto per un mesotelioma pleurico

Il Tribunale di Taranto ha condannato l’INAIL al riconoscimento della malattia professionale di un dipendente delle Ferrovie deceduto per un mesotelioma pleurico, causato dall’esposizione all’amianto durante il suo impiego presso le Ferrovie dello Stato (oggi RFI S.p.A.). L’uomo, nato e residente a Taranto, ha lavorato nelle Ferrovie per 35 anni come operaio manutentore. Durante questo lungo periodo è stato esposto quotidianamente all’asbesto senza adeguati dispositivi di protezione.

Prima dell’introduzione della Legge 257/92 il minerale era ampiamente utilizzato per diverse applicazioni, in particolare veniva impiegato per rivestire tubazioni, isolare sistemi termici e acustici, nelle guarnizioni e componenti dei freni. Nel luglio 2019 l’uomo ha ricevuto la diagnosi di mesotelioma pleurico, una grave forma di cancro causata dall’inalazione di fibre di amianto, e nel 2020 ha presentato domanda all’INAIL per il riconoscimento della malattia professionale che viene respinta. Nel 2021 il suo legale, l’avv. Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, ha presentato ricorso producendo le prove dell’esposizione alla fibra killer e le perizie del consulente tecnico d’ufficio (CTU). Nel corso del giudizio che gli darà ragione, purtroppo, l’uomo muore, aveva 73 anni. La condanna dell’INAIL sancisce il riconoscimento professionale della malattia che darà diritto alla richiesta del risarcimento del danno a parte del legale della famiglia, avv. Ezio Bonanni, Presidente Osservatorio Nazionale Amianto, che ha già spiccato l’atto della messa in mora, per gli importi di 500mila euro prima di tutto per il danno subito dall’uomo, e di circa ulteriori 400mila per ognuno dei due figli orfani, ai quali si aggiunge anche il nipote, orfano di una delle figlie, adottato dallo zio per il quale è stato richiesto un ulteriore importo di 400mila euro.

Un brutto processo contro l’INAIL: lavoratore morto per “asbestosi da amianto”. Si ammalò per sfortuna?

Riprende proprio oggi a Siracusa il processo, in prima udienza con la costituzione dell’erede, iniziato a marzo del 2023 contro l’Inail che si rifiuta di riconoscere la malattia professionale, con diagnosi di asbestosi da amianto, richiesta da Gioacchino Schembri che nel frattempo è deceduto. 

A portare avanti la controversia è rimasta però la moglie, Franca Puleo, con l’aiuto dell’avvocato Salvatore Costa che ritiene questa una battaglia di civiltà. 

“Abbiamo saputo della malattia di mio marito nel 2019, ma lui stava male già da prima, ha cominciato a lamentare difficoltà respiratorie nel periodo in cui si è sposata mia figlia, quindi, nel 2010 – ha raccontato Franca Puleo – ma inizialmente non abbiamo dato peso a questi malesseri, pensavamo fossero normali raffreddori e bronchiti. Ad un certo punto, però, la sua condizione di salute si è aggravata per cui abbiamo deciso di fare degli accertamenti”.

La prima visita il signor Schembri la fa all’IRCSS di Pavia in cui viene immediatamente diagnosticata l’asbestosi da aminato, per cui viene rimandato in Sicilia presso il “Centro di riferimento regionale per la cura e la diagnosi di patologie derivate da aminato” dell’Asp di Siracusa, che conferma la diagnosi il 5 luglio 2019. 

Nel referto l’istituto sanitario regionale scrive: “Il soggetto ha avuto accesso a questo ambulatorio per dispnea da sforzo…appare abbastanza limitato nello svolgimento delle normali mansioni quotidiane a causa della dispnea che insorge durante il cammino per sforzi minimi”. 

La diagnosi definitiva è “asbestosi conclamata ed ispessimenti pleurici bilaterali in soggetto con esposizione nota ad amianto, insufficienza respiratoria latente”. 

A questo punto, il signor Schembri presenta la richiesta all’Inail per il riconoscimento della malattia professionale, infatti è stato dipendente della Montedison dal 1973 al 2007. 

Fino al 1986 ha lavorato nello stabilimento di San Giuseppe di Cairo (Savona) come addetto alla distribuzione, con mansioni di controllo carico e scarico delle merci (attività che svolgeva direttamente presso i capannoni di stoccaggio coibentati con amianto). 

Poi fino al 2007 ha lavorato presso il Polo industriale di Priolo Gargallo, all’interno di strutture ad altissima concentrazione di amianto, bonificate purtroppo ben oltre l’inizio del trasferimento. 

“Mio marito occupava una posizione amministrativa, ma sempre all’interno di stabili in cui si lavora l’amianto – ha precisato ancora la signora Puleo – A Priolo mi è capitato di attenderlo fuori e c’è sempre stato un pessimo odore, nauseabondo. Mi chiedevo come facesse mio marito a stare tutto il giorno li dentro con quella puzza e dal pavimento uscivano dei fumi”.

Di fatto, l’Inail rigetta la domanda, inizialmente per “carenza di documentazione”, quindi Schembri presenta ricorso chiedendo di essere sottoposto a CTU medico legale al fine di accertare la natura professionale delle lesioni riportate ed in particolare il nesso causale dell’asbestosi con la malattia professionale, ma l’Inail si oppone perché ritiene il CTU medico legale un esame “meramente esplorativo”e ritenendo che gli accertamenti strumentali esibiti non avrebbero messo in evidenza la presenza “di franche placche pleuriche”. 

Secondo l’Inail, dunque, non vi sarebbero elementi idonei a documentare il rischio lavorativo, avendo svolto attività a carattere amministrativo. 

Gioacchino Schembri a questo punto presenta denuncia contro l’Inail il 1° agosto 2022, ma nel frattempo muore. 

“L’Inail non vuole riconoscere la malattia professionale al signor Schembri perché era un amministrativo e non toccava l’amianto, ma è già stato comprovato anche in sede giudiziaria che l’asbestosi può insorgere anche essendo soltanto esposti e respirandolo, non per forza bisogna toccarlo per ammalarsi” ha sottolineato l’avvocato Costa. 

“Mio marito è deceduto il 1 novembre 2023 mentre faceva una videochiamata con mia figlia, che ha visto morire suo padre in diretta. Io ho chiamato subito l’ambulanza ma non c’è stato nulla da fare – racconta ancora Franca Puleo- Adesso sono io che sto portando avanti la battaglia di mio marito e lo faccio non per i soldi, ma per una questione di principio. Lui ci teneva tantissimo che fosse riconosciuto il suo danno, per se stesso e per gli altri, dunque io lotterò per questo”. 

Adesso la parola al Tribunale di Siracusa. 

Sonia Sabatino 

Amianto : Sentenze

Pompiere triestino ucciso dall’amianto: Viminale condannato a risarcire

Decisione del Consiglio di Stato: 389 mila euro alla famiglia. Primo caso appurato su un vigile del fuoco

l Consiglio di Stato ha condannato il Ministero dell’Interno a riconoscere – oltre agli indennizzi della speciale elargizione di 230mila euro – un ulteriore risarcimento di 140mila euro per la famiglia di un vigile del Fuoco triestino, S.

G., deceduto nel 2008 a due anni e mezzo dalla diagnosi di mesotelioma pleurico correlato all’esposizione ad amianto all’età di 75 anni.

L’uomo aveva subito un’esposizione a livelli elevati di fibre di amianto durante il servizio prestato per 34 anni al Comando di Trieste, quando la prassi era indossare “guanti e tute antincendio in amianto”.

   Una volta che il Ministero dell’Interno, in seguito a una azione legale avviata davanti al Tribunale di Trieste, “aveva dovuto ammettere il legame tra l’esposizione all’asbesto e il mesotelioma pleurico, e riconoscere lo status ‘vittima del dovere’, i legali della famiglia, avv. Ezio Bonanni, Presidente Osservatorio Nazionale Amianto, e Corrado Calacione, avviarono la domanda di risarcimento, accolta dal Tar del Friuli Venezia Giulia nel 2020”. Come ricostruisce l’Ona, il Ministero aveva però presentato ricorso al Consiglio di Stato, chiedendo la sospensione della condanna, ma l’istanza fu rigettata ed ora, “a distanza di quattro anni diventa definitiva la prima sentenza che condanna il Ministero dell’ Interno”. Per l’Osservatorio il caso è destinato “a scoperchiare il vaso di Pandora di un fenomeno epidemico di mesoteliomi e altre malattie asbesto-correlate tra il personale del Dipartimento dei Vigili del Fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile – spiega Bonanni – abbiamo dimostrato che l’esposizione è avvenuta senza adeguata informazione, formazione e strumenti di prevenzione attraverso l’utilizzo di guanti e tute, negli interventi per incendi ed eventi sismici, e per il contatto con le macerie”.
   

Amianto : Sentenze

Amianto nelle navi della Marina militare: risarcito un maresciallo siciliano

Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso di risarcimento del danno moraleesistenzialebiologico, e patrimoniale presentato contro il ministero della Difesa dal maresciallo luogotenente della marina militare Salvatore A. Il 63enne, originario della provincia di Palermo e residente in provincia di Siracusa, ha contratto una asbestosi polmonare per l’esposizione professionale all’amianto. Il militare, che aveva già ottenuto il riconoscimento della causa di servizio, lo status di vittima del dovere e, una liquidazione di 50mila euro, con questa sentenza verrà risarcito con ulteriore importo di 50mila euro

L’uomo aveva prestato servizio nella marina militare italiana per 36 anni, dal 1978 al 2014, in qualità di destinato al servizio di condotta nave presso le basi navali La Maddalena di Roma, Augusta e altre destinazioni. Oltre ad avere svolto le sue mansioni negli arsenali militari di terra, aveva operato per 17 anni e undici mesi a bordo di navi e sommergibili con il ruolo di capo radiotelegrafista. Durante questi anni, Salvatore ha respirato fibre di amianto e polveri 24 ore al giorno. Le fibre di amianto erano presenti nei locali motori, nei corridoi e nei rivestimenti delle condotte di scarico, creando un ambiente estremamente pericoloso per la salute. Nonostante fosse nota da tempo la pericolosità della fibra killer, il maresciallo non era dotato di strumenti di protezione individuale.

Amianto : Discariche

Amianto a Cava Fornace, quello che non torna per gli ambientalisti

Arpat tranquillizza ma secondo i No Cava la marmettola e l’amianto stesso sono dei rischi reali sottovalutati

MONTIGNOSO. Arpat ha rilevato amianto nell’acqua fuoriuscita dal crollo dell’argine ma in quantità minime che hanno convinto l’ente che non ci fosse la necessità di fare dei prelievi al lago di Porta. «Ma l’amianto è pericoloso solo quando è asciutto e inalato», ha precisato l’ingegnere di Arpat Stefano Santi. Ma queste rassicurazioni non hanno convinto troppo il Comitato dei cittadini per la chiusura di Cava Fornace. I punti critici sono la presenza di marmettola e quella di amianto, con la possibilità che tornando asciutto diventi volatile.

«Le analisi ufficiali in prima battuta hanno dimostrato che nelle acque-percolato esaminate erano presenti: ferro, alluminio, più sostanze di superfice. Non sappiamo di cosa si tratta e in che quantità; inoltre è stata data la colpa di tale presenze alla marmettola. La marmettola non viene messa in discarica da parecchi anni , non può essere la causa di quei metalli», dicono i No Cava. Ricordiamo il telo che copriva il cumulo di terre (pericolose) franate 

«Durante la riunione al comune di Montignoso alla presenza dei due sindaci che hanno in carica la discarica, quelli di Montignoso e Pietrasanta» e dell’assessore regionale Monni Monia, l’ingegnere responsabile Arpat ha comunicato anche la presenza di amianto in forma liquida. Lça presenza di amianto nella Fossa Fiorentina è dovuto  all’evento del 6 maggio . Ciò vuol dire che le acque lo hanno trovato abbastanza facilmente nella loro discesa in discarica, questo fa pensare che nei momenti “asciutti” l’amianto diventi volatile, facilmente riscontrabile nell’aria. Pericolosissimo».

Amianto : Sentenze

Lavoratore deceduto, l’accusa legata all’esposizione all’amianto in raffineria: tre assoluzioni

Gela. Per la procura, ci fu esposizione all’amianto, al punto da far maturare una grave patologia che determinò il decesso di Salvatore Di Vara, un ex lavoratore di società impegnate nella fabbrica Eni. Il pm Luigi Lo Valvo, non individuando un nesso diretto tra questi fatti e i periodi di riferimento durante i quali gli imputati ricoprirono gli incarichi in Eni, aveva comunque concluso per l’assoluzione. Il giudice Miriam D’Amore ha chiuso il giudizio proprio con una pronuncia favorevole a Gregorio Mirone, Giancarlo Fastame e Giorgio Clarizia. Il “fatto non sussiste”, così ha indicato il magistrato nel dispositivo letto in aula. Il non doversi procedere è stato disposto per Antonio Catanzariti, intanto deceduto. Nelle loro conclusioni, le difese hanno escluso che nel sito della multinazionale ci sia stata una possibile dispersione di polveri di amianto. Il lavoratore, secondo l’accusa, avrebbe contratto un mesotelioma sarcomatoide. Altro aspetto che i legali degli imputati hanno messo in discussione, sottolineando che sarebbero mancati i marcatori necessari per riscontrare questa specifica patologia.