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Amianto : Sentenze

Anni di amianto: Inps deve pagare il catanese

Corte d’appello dà ragione a operaio del petrolchimico di Priolo

CATANIA – La Corte d’appello di Catania ha condannato l’Inps a riconoscere la rivalutazione contributiva di Francesco Castorina, uno dei tanti lavoratori del petrolchimico di Priolo-Augusta esposti alle fibre di amianto. Originario di Catania e residente ad Augusta, dal 1984 ha lavorato per 35 anni come addetto alla manutenzione. In quel periodo l’amianto era un materiale comunemente utilizzato e veniva impiegato in varie parti degli impianti industriali. Di conseguenza Castorina aveva respirato le fibre killer aerodisperse nell’ambiente, senza per altro essere tutelato adeguatamente. Quanto alle bonifiche, è emerso che sono state eseguite ben oltre l’entrata in vigore della legge che prevedeva la tutela dei lavoratori esposti.

Ed è stata proprio la questione della durata dell’esposizione oltre il 1992 l’oggetto principale del braccio di ferro tra l’operaio e l’Inps perché, dopo aver fatto richiesta del riconoscimento dei benefici pensionistici per l’esposizione all’amianto, negati dall’ente di previdenza, è andato poi in pensione con “Quota 100” percependo una rendita inferiore rispetto a quella a lui spettante. Nel 2020 la sentenza di primo grado del tribunale di Siracusa che ha riconosciuto il diritto di Castorina alla rivalutazione contributiva. Decisione contestata dall’Inps che ha portato la vicenda presso la Corte di appello di Catania; la quale ha condannato l’ente e confermato il diritto dell’operaio consentendogli di ottenere la compensazione economica che gli spettava per gli anni di lavoro a contatto con la fibra killer. “E’ assurdo dover ricorre alle vie legali, sottostare a lungaggini burocratiche, per ottenere giustizia”, commenta Castorina.

Ex lavoratore morì per mesotelioma, per pm nesso con amianto: chieste tre assoluzioni

Gela. Tre assoluzioni e il non doversi procedere per un altro imputato, Antonio Catanzariti, intanto deceduto. Sono le richieste avanzate dal pm Luigi Lo Valvo, al termine della requisitoria nel procedimento avviato a seguito del decesso di un ex lavoratore di società che hanno operato nel passato nel sito industriale locale. Perse la vita nove anni fa, per le conseguenze di un mesotelioma sarcomatoide. Secondo i pm che hanno portato a processo gli imputati, tutti ex riferimenti di società oggi del gruppo Eni, il lavoratore avrebbe contratto la grave patologie a seguito dell’esposizione ad amianto. Nelle conclusioni, il pm ha passato in rassegna buona parte della principale casistica, giurisprudenziale e più strettamente scientifica. Ha sottolineato che sono da riconoscere correlazioni di causalità sia generali che individuali. Ritiene, sulla base dei dati riscontrati nelle perizie e negli atti affidati alle consulenze, che non possano individuarsi cause differenti da quelle dell’attività svolta dal lavoratore. Ha però precisato che rispetto ai periodi temporali non è possibile collegare i fatti ad eventuali responsabilità di referenti delle società incaricati successivamente. Per questa ragione, ha concluso per l’assoluzione di Gregorio Mirone, Giancarlo Fastame e Giorgio Clariazia. Nella requisitoria, invece, ha tenuto a spiegare che profili di responsabilità potevano essere appurati, rispetto al periodo di incarico, per Catanzariti che però è deceduto.

Di Vara fu alle dipendenze di Enichem-Anic, della Praoil e di Agip Petroli. Iniziò la sua attività in raffineria negli anni ’70, per concluderla nel 1996. Nel corso della prossima udienza, spetterà alle difese definire le rispettive conclusioni. I legali degli imputati, nel corso dell’attività istruttoria, hanno sostenuto l’assenza di qualsiasi nesso tra il ruolo dei loro assistiti e la patologia contratta dal lavoratore.

Amianto : Sentenze

Amianto killer, risarcimento da 200mila euro a famiglia di un ferroviere del Foggiano. “Sentenza apripista”

Rocco A., originario di Orta Nova, lavorava presso le grandi officine riparazioni (Ogr). È morto per un mesotelioma epitelioide

Un esito giudiziario “apripista” di grande rilevanza, quello Rocco A., esposto all’amianto alle dipendenze di RFI (Rete Ferroviaria Italia) presso le Officine Grandi Riparazioni (OGR) di Foggia, sviluppando un mesotelioma epitelioide che lo ha portato alla morte.  La Corte di Appello di Roma ha ribadito, non solo che non esiste una soglia minima al di sotto della quale si annulla il rischio amianto, ma ha avallato la tesi che, anche un’esposizione non prolungata nel tempo, può determinare l’insorgenza di patologie asbesto-correlate.

Rocco A., nativo di Orta Nova e residente a Foggia, ha prestato servizio in RFI dal 1969 al 1971 con mansioni di operaio qualificato “aggiustatore meccanico”. Si è occupato della manutenzione dei rotabili ferroviari, motori, tubazioni, cavi elettrici, etc. respirando direttamente e indirettamente le sottilissime fibre killer. I locali erano privi di aerazione, le lavorazioni venivano eseguite senza l’adozione di alcuna misura di sicurezza, pur essendo disponibili, sin dagli anni ’40, mascherine, tute protettive e aspiratori. Quel che è peggio, venivano utilizzati dei soffiatori per togliere la polvere, che tuttavia finivano inevitabilmente per disperderla nell’aria. Nel 2006 Rocco aveva avuto un primo versamento pleurico, e il 28 marzo 2009 è purtroppo, deceduto all’età di 68 anni, lasciando la moglie e i due figli. L’INAIL aveva fin da subito accertato l’origine professionale della malattia e costituito in favore della vedova la rendita ai superstiti.

La famiglia dell’uomo, assistita dagli avvocati Ezio Bonanni, Presidente Osservatorio Nazionale Amianto, e Daniela Lucia Cataldo, aveva quindi presentato ricorso al Tribunale di Roma per ottenere il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali. Ma nonostante l’ONA avesse già ottenuto altre condanna delle F.S., nel caso del Sig. Rocco, l’azienda aveva tuttavia contestato la pretesa, spiegando che: “solo a partire dalla metà degli anni ’70 vi è stata la presa di coscienza circa la pericolosità della esposizione a fibre in amianto”. In primo grado, basandosi su un’ampia letteratura medico scientifica, la magistratura aveva tuttavia respinto le eccezioni di FS.  Il CTU nominato dal Tribunale aveva quantificato il danno biologico subito per oltre 200mila euro a beneficio dei familiari dell’operaio, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali. Oggi, la condanna anche in secondo grado della Corte d’Appello di Roma. Purtroppo la storia della Officine Grande Riparazioni della F.S. è caratterizzata dalla strage di lavoratori per mesotelioma e altre malattie di amianto, che in qualche caso hanno colpito anche i familiari. Il VII Rapporto ReNaM ha inserito il settore dei rotabili ferroviari tra quelli che hanno riscontrato più casi di mesotelioma. “Dopo l’ennesima e duplice pronuncia di condanna si spera che le FS, invece interporre appelli e cercare di ritardare i risarcimenti, desistano dal negare il diritto di tanti che hanno perso la vita per l’uso dell’amianto. Purtroppo, il picco epidemiologico ci sarà nei prossimi anni”, dichiara Bonanni.

Amianto: Sentenze

Esposto all’amianto per 40 anni, Inps condannata nel Napoletano

Operaio ha diritto a prepensionamento e a rivalutazione pensione

Il sottufficiale di macchina della Marina Mercantile e di Costa Armatori Raffaele Raia, nato e residente a Torre del Greco (Napoli), ed esposto all’amianto per oltre 40 anni, dal 1961 al 2003, ha diritto al prepensionamento e alla rivalutazione della pensione.

A stabilirlo, secondo quanto rende noto l’Osservatorio Nazionale Amianto, è il Tribunale di Torre Annunziata (Napoli) che ha condannato l’Inps a concedere al lavoratore i benefici spettanti con una maggiorazione della pensione di 500 euro mensili, oltre a una rivalutazione e liquidazione per gli ultimi 10 anni.
    Raia nel 2019 si è ammalato di “ispessimenti pleurici”, patologia asbesto correlata accertata dall’Inail, era stato esposto a fibre e polveri di amianto sia durante le attività di imbarco sulle unità navali della Marina Mercantile, sia prestando servizio come dipendente al servizio di Spa Costa Armatori.

Nello specifico aveva svolto mansioni di operaio, prima motorista, poi meccanico e successivamente tornitore, attività che hanno determinato una esposizione diretta e indiretta, dal momento che gli ambienti erano contaminati dalle polveri e dai rivestimenti che si disperdevano nell’ambiente.
    L’amianto era addirittura presente anche nella cabina che lo ospitava e nei dispositivi di protezione individuale (DPI) per proteggersi dall’elevato calore. L’ex dipendente aveva pertanto chiesto l’adeguamento dei ratei della pensione e relativa ricostituzione della posizione contributiva, richieste che l’Inps aveva negato. L’uomo ha ottenuto la sentenza favorevole attraverso il ricorso presentato da Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto: “Questa sentenza rappresenta un importante punto di partenza per un cambiamento tangibile nella cultura della sicurezza del lavoro, affinchè nessun altro lavoratore debba lottare per ottenere i propri diritti fondamentali”.

Amianto : Sentenze

Esposto all’amianto durante la leva, muore di tumore. Condannati i ministeri dell’Interno e della Difesa

Aldo Martina era venuto a contatto con la fibra killer in Marina Militare. Agli eredi il ministero della Difesa dovrà versare 200mila euro

Per la morte di Aldo Martina a causa di mesotelioma pleurico legato all’esposizione di amianto, il Tribunale di Roma ha condannato il Ministero della Difesa a pagare agli eredi, la moglie Anna e i figli Emiliano e Sarah, 200mila euro a titolo di “speciale elargizione”. Il ministero dell’Interno, inoltre, è stato condannato a riconoscere Martina come “vittima del dovere”, inserendo il suo nome nell’apposita graduatoria

Martina era originario di Muggia, nel Friuli-Venezia Giulia e dagli anni Settanta viveva a Fonte Nuova, nella città metropolitana di Roma. Era venuto a contatto con la fibra killer durante il servizio militare svolto quando aveva 20 anni all’Arsenale militare marittimo di La Spezia, e successivamente al Comos (Comando gruppo Motosiluranti) di Brindisi. In qualità di “Sottocapo radiotelegrafista”, l’uomo era stato costantemente a contatto con polveri e fibre di amianto, utilizzando accessori inadeguati come grembiuli da lavoro, coperte, guanti e pezze, “in un ambiente di lavoro privo di qualsiasi misura di sicurezza”, come riporta in una nota l’Osservatorio nazionale amianto. Martina, ignaro dei rischi che stava correndo, si occupava della manutenzione e della riparazione di impianti di comunicazione navale, maneggiava diversi tipi di rifiuti, compresi quelli contenenti amianto, senza alcun tipo di dispositivo di protezione individuale. A confermarlo è stata la perizia del consulente tecnico d’ufficio (Ctu), secondo cui Martina era costantemente esposto all’inalazione di fibre di amianto aerodisperse nell’ambiente di lavoro e provenienti da apparecchiature di sala macchine, tubolature, cavi e trattamenti coibentanti delle imbarcazioni. Tutte sostanze venivano liberate in ambienti ristretti. Non solo: anche le vernici usate a bordo contenevano asbesto, contribuendo ulteriormente a danneggiare la salute del lavoratore. Nel 2018, Martina ha iniziato ad accusare i primi problemi respiratori e, nell’agosto dello stesso anno, è arrivata la diagnosi di mesotelioma, tumore maligno che ha origine dalla pleura. L’uomo è morto dopo 9 mesi

Amianto : Sentenze

Esposizione all’amianto, un anno e pena sospesa per 5 ex dirigenti Materit accusati di omicidio

Gli ex dirigenti accusati a vari titolo di omicidio e lesioni colpose nei confronti di 4 operai, per averne causato il decesso o procurato malattie professionali da esposizioni da amianto.

MATERA – Il Tribunale di Matera ha condannato a un anno di reclusione (pena sospesa), Silvano Benitti, Pietro Pini, Michele Cardinale, Michele Bonanni e Lorenzo Mo, ex dirigenti delle ex aziende Cemater-Materit dell’area industriale di Ferrandina (Matera), accusati a vari titolo di omicidio e lesioni colpose nei confronti di quattro lavoratori, per averne causato il decesso o procurato malattie professionali da esposizioni da amianto.

L’accusa, nel giugno 2023, aveva chiesto una condanna a due anni e otto mesi di reclusione. I fatti contestati riguardano un periodo che va dal 1975 al 1989, data di chiusura dello stabilimento Materit. Il giudice ha, inoltre, condannato gli ex dirigenti al pagamento di diecimila euro ciascuno nei confronti delle parti civili. E ha disposto il pagamento della somma di 50mila euro per i familiari dei quatto operai. Ha infine stabilito non doversi procedere, per intervenuta prescrizione dei reati, per episodi riferiti ad altri 16 operai.

Amianto : Sentenze

Amianto, muore di mesotelioma a 54 anni, condanna per Inps

Per Corte d’Appello L’Aquila istituto deve indennizzare vedova

La Corte d’Appello dell’Aquila ha condannato l’Inps a riconoscere le maggiorazioni amianto e a ricostruire la posizione contributiva di Luigi Vitullo, morto a 54 anni di mesotelioma pleurico epitelioide a causa dell’esposizione professionale alla fibra.

Le perizie tecniche-ambientali del consulente tecnico d’ufficio (Ctu) confermano che l’operaio chietino, che dal 1976 al 1987 ha prestato servizio in diverse aziende nella provincia di Chieti, durante le sue mansioni è stato esposto direttamente e indirettamente a polveri e fibre di amianto.

Ad assistere come legale la famiglia di Vitullo è stato il presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto (Ona), Ezio Bonanni.
    Un compito particolarmente rischioso era la manipolazione di lastre di cemento amianto soggette a usura e spesso abbandonate nel cantiere. Nonostante il divieto di utilizzo introdotto dalla legge 257/92, Vitullo e i colleghi fino a metà degli anni ’90 hanno usato strumenti di protezione realizzati in amianto. Tutti gli operai, non informati dei rischi per la salute e senza che le aziende avessero adottato strumenti di prevenzione tecnica, quali aspiratori per le polveri o maschere e tute monouso, portavano involontariamente a casa abiti contaminati con polvere e fibre di amianto, esponendo anche i familiari. L’esordio della malattia per Vitullo risale a maggio 2015, a giugno la diagnosi di mesotelioma viene confermata. L’uomo muore ad Ancona un mese dopo.

La battaglia giudiziaria, ricorda una nota dell’Osservatorio, iniziò contro l’Inail, che nel 2019 ha riconosciuto il diritto in via amministrativa. L’Inps anche dopo il riconoscimento dell’Inail ha continuato a negare l’esposizione ad amianto nonché benefici e prestazioni aggiuntive del Fondo Vittime Amianto spettanti alla vedova, Antonietta Cicchini, che all’epoca della morte del marito aveva 50 anni, costringendo a una nuova causa. La domanda in primo grado è stata rigettata, ma in appello il ricorso è stato accolto. L’Istituto è stato condannato al ricalcolo della pensione di indennità con un aumento di circa 5mila euro all’anno. Inoltre, la donna dovrà percepire 80mila euro circa tra gli arretrati dell’Inps e quelli dell’Inail.

Castellammare, lavoratore esposto all’amianto: ottiene maxi risarcimento da 190mila euro

Castellammare, lavoratore esposto all’amianto: ottiene maxi risarcimento da 190mila euro
Un imponente risarcimento di 190.000 euro è stato assegnato recentemente da parte del Tribunale Civile di Torre Annunziata a un lavoratore che ha contratto una malattia correlata all’esposizione all’amianto presso lo stabilimento Fincantieri di Castellammare. La vittoria in questa battaglia legale è stata ottenuta da un operaio di Scafati affetto da un tumore ai polmoni, una condizione riconosciuta da una sentenza come direttamente legata agli anni trascorsi in un reparto del cantiere navale a contatto con la pericolosa sostanza.

Amianto : Sentenze

La Spezia, operaio navale morì per amianto. Il tribunale: 740 mila euro alla famiglia

L’uomo è morto nel 2021, a 74 anni, per le conseguenze di un tumore polmonare causato dal contatto con l’amianto

Dipendente comunale morto a 58 anni per l’amianto, Roma Capitale condannata. Alla famiglia “solo” 61mila euro

Ezio Bonanni presidente dell’osservatorio Nazionale Amianto e legale annuncia il ricorso in Cassazione: “Chiederemo un risarcimento adeguato non solo per il danno economico, ma anche per il dolore inflitto alla famiglia”

La Corte di Appello ha condannato Roma Capitale all’indennizzo di “sole” 61mila euro per la morte del dipendente Armando Cecconi avvenuta all’età di 58 anni per un mesotelioma polmonare causato dall’esposizione all’amianto in ambiente lavorativo. Nessun risarcimento è stato accordato alla moglie Giovanna Colasanti, e al figlio Emanuele, che all’epoca della morte del padre aveva 24 anni.

Chi era Armando Cecconi

Una storia drammatica ricostruita anche grazie all’aiuto dell’osservatorio nazionale amianto che ha seguito il caso. Armando Cecconi aveva lavorato come netturbino comunale per un anno dal 1970 dal 1971. Poi dal ’71 fino al 1984 come addetto allo smistamento della posta presso la sede di via dei Cerchi e dall’84 al 1994 come commesso manutentore presso la stessa sede. Nel 2002 la notizia  della diagnosi di un versamento pleurico destro che poi diventerà mesotelioma polmonare. Dopo una chemioterapia e altre cure, Cecconi morì il 14 agosto 2004.

Secondo quanto emerso, Armando Cecconi per tutta al sua vita professionale come dipendente comunale era stato esposto a “a polveri e fibre di amianto” che avevano la capacità di “irritare le vie respiratorie”, perché a contatto con “aria contaminata respirata ogni giorno”. Le perizie CTU, sia quella ingegneristica avvenuta nel 2022 che quella medico-legale del 2023, confermano l’esposizione alla fibra killer durante la manutenzione degli impianti. 

L’amianto era ovunque nelle tubazioni, nelle guarnizioni di impianti termici e, in generale, sugli impianti tecnologici”, come spiega l’osservatorio nazionale amian. Nonostante la legge imponesse l’impiego di misure preventive, il Comune di Roma non avrebbe però adottato le precauzioni necessarie per proteggere la salute del dipendente.

La graduale sostituzione dell’amianto con materiali aventi analoghe caratteristiche, ma meno rischiosi dal punto di vista ambientale e della salute, infatti, avvenne solo nel 1992: troppo tardi per Armando Cecconi che nel dicembre 2002 riceve la tragica diagnosi di “mesotelioma epitelioide alla pleura” che, dopo un calvario di durato due anni, causa la morte.

Amianto : Sentenze

Taranto, «Amianto, nessun reato dei vertici della Marina»

Nuova richiesta di archiviazione del pm sul caso Vittorio Veneto

TARANTO – «Non vi è prova della dispersione di polveri contenenti amianto nell’ambiente esterno» e «non si ravvisano comportamenti penalmente rilevanti da parte degli indagati». Si chiudono così le 50 pagine che compongono la richiesta di archiviazione depositata dal pubblico ministero Filomena Di Tursi sul caso di Nave Vittorio Vittorio e del suo carico da 1200 kg di fibre velenose che ha portato all’apertura di un’indagine per i danni causati sui lavoratori della forza armata e i cittadini di Taranto nel periodo in cui l’ex unità navale della Marina militare è stata ormeggiata alla banchina Torpediniere tra il 2007, dopo il suo disarmo, e il 2021.

L’inchiesta originale era partita dalla denuncia di due cittadini, uno dei quali assistiti dall’avvocato Ezio Bonanni dell’«Osservatorio Nazionale Amianto», ma il pm Di Tursi aveva chiesto una prima archiviazione: il gip Benedetto Ruberto, però, aveva disposto nuove indagini sul caso e l’iscrizione nel registro degli indagati di otto militari tra ammiragli e alti ufficiali. L’accusa ipotizzata nei loro confronti era di inquinamento ambientale e disastro ambientale colposo: per il giudice, in sostanza, tutti i livelli gerarchici della Marina era a conoscenza del rischio per i cittadini e l’ambiente marino, ma nessuno ha disposto la bonifica dell’ex ammiraglia della Marina fino l’8 giugno 2021, data della partenza verso la Turchia dov’è poi stata smantellata.

Dopo il provvedimento del gip, quindi, il pm Di Tursi ha effettuato nuovi accertamenti sulla vicenda e nel documento con cui sostiene che non vi siano responsabilità per gli indagati, spiega che «un’ipotetica emissione di fibre da parte del galleggiante produrrebbe un “impatto” assolutamente non significativo sulla salute della popolazione» e «un “contributo” non rivelabile rispetto al fondo urbano,

indubitabilmente ricompreso nell’alveo della normale tollerabilità». Insomma nessun rischio significativo. Nel documento, inoltre, la rappresentante della pubblica accusa ha inoltre chiarito che i suoi consulenti avevano rilevato durante alcune simulazioni presenze di fibre all’esterno dello scafo, ma in realtà quelle prove sono state compiute con una «metodologia errata e incongrua, anche quanto alle modalità di valutazione delle analisi e di risultati». A sostegno di questa nuova tesi, la procura ha depositato un parere tecnico redatto dall’Università di Bari che hanno sostenuto che i consulenti della procura «hanno alterato l’assetto, operando manovre non consentite» le condizioni della nave provocando così «la dispersione di fibre all’interno, campionando le stesse». In parole semplici l’uso di ventilatori nei locali interni allo scafo ha «potuto contaminare i rilievi condotti all’esterno del galleggiante».

Le nuove indagini, però, per l’accusa avrebbero chiarito questo aspetto e confermato la tesi iniziale del pm Di Tursi che ritiene che non vi siano responsabilità penali dei militari indagati. Ora il giudice Ruberto dovrà fissare una nuova udienza per ascoltare le parti e poi decidere se confermare o meno l’archiviazione.

Amianto: Sentenze

Operaio morto per l’esposizione all’amianto, risarcimento di 130mila euro ai familiari

Il tribunale di Roma ha condannato l’Enel per la morte di un ex operaio originario di Gualdo Tadino morto nel giugno 2018 all’età di 72 anni

Gualdo Tadino (Perugia), 30 gennaio 2024 – Il tribunale di Roma ha condannato l’Enel risarcire con una somma di 130mila euro i familiari di un ex operaio originario di Gualdo Tadino morto nel giugno 2018 all’età di 72 anni a causa di un mesotelioma pleurico derivante dall’esposizione professionale all’amianto. Lo ha annunciato l’Osservatorio nazionale amianto secondo cui aveva prestato servizio presso la centrale di Gualdo Cattaneo per 33 anni, lavorando come manutentore di officina meccanica e delle linee elettriche.

Per l’Osservatorio fino al 1990 l’uomo e gli altri operai non disponevano di adeguate misure di protezione individuale né era a conoscenza della presenza delle fibre nocive e del loro impatto sulla salute.

L’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto e legale della famiglia, ha attribuito all’Enel anche la violazione degli obblighi relativi alla sicurezza sul lavoro. L’Enel è quindi intervenuta con una nota sottolineando che il tribunale ha comunque ridotto la richiesta risarcitoria. L’azienda ha quindi evidenziato di avere “sempre adottato le misure di protezione e di salvaguardia inerenti la tutela delle condizioni di lavoro nel rispetto della normativa nel tempo vigente”.

Enel precisa inoltre che “l’ex dipendente, dopo aver lavorato quale elettricista presso aziende di impianti elettrici, ha poi svolto l’attività come manutentore alla centrale termoelettrica di Bastardo e, successivamente, presso la sede di Gualdo Tadino con qualifica di operaio e manutentore di linee elettriche”. L’Azienda “si riserva ogni più approfondita valutazione a valle del deposito delle motivazioni della sentenza, anche ai fini di un possibile appello”.

Amianto : Sentenze

Esposta per anni all’amianto, morta per mesotelioma: alla figlia 130mila euro

Luigia Cheli morì tra atroci sofferenze. Aveva lavorato, esposta all’amianto, nelle centrali di Larderello e Serrazzano. L’azienda si riserva di presentare appello

Pisa, 24 gennaio 2024 – Luigia Cheli doveva lavare le tute degli operai in servizio alle centrali Enel di Serrazzano Larderello (Pisa), e svolgere altre mansioni come pulire le turbine, i trasformatori (di vapore in energia), la sala macchine, mansioni che avvenivano quando i macchinari erano aperti a stretto contatto con le polveri di amianto, presenti anche nei magazzini generali e nella mensa aziendale, essendo i forni coibentati con il pericoloso minerale. Aveva anche il compito di imballare e rammendare le balle e i contenitori di borace.

Luigia Cheli viveva a Monteverdi Marittimo, sulle splendide colline che dall’ultimo lembo della provincia di Pisa guardano il mare della costa livornese; aveva lavorato per Enel per circa 14 anni, dal 1969 al 1983; gli ultimi nove come dattilografa e segretaria. Poi la pensione, ma nel gennaio 2017, a 26 anni dal ritiro dal lavoro, la terribile diagnosi infausta che ha colpito ben più di un lavoratore: mesotelioma pleurico epiteliomorfo. Una malattia devastante che dopo mesi di agonia nel settembre dello stesso anno la portò alla morte.  

Alla fine la vicenda è approdata in tribunale a Roma e il giudice ha condannato Enel per la morte da mesotelioma per l’esposizione ad amianto durante la sua attività lavorativa dell’ex dipendente. L’azienda dovrà pagare 130mila euro all’erede e figlia della vittima, Daniela Barsotti, assistita dal presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto avvocato Ezio Bonanni.

A confermare il nesso tra esposizione ripetuta nel tempo al patogeno e l’insorgenza del mesotelioma, anche la perizia del consulente tecnico; dall’istruttoria è emerso che l’amianto era presente in diversi comparti sia nella centrale geotermoelettrica di Larderello, la prima al mondo ad aver sfruttato l’energia geotermica nella produzione di elettricità, che in quella di Serrazzano, e che la Cheli fu esposta alla fibra e tenuta all’oscuro della lesività delle fibre e della loro capacità di provocare il cancro

Sul fatto interviene anche Enel: “In merito alla decisione del Tribunale di Roma sul giudizio risarcitorio promosso dall’erede di una lavoratrice che ha svolto l’attività alle dipendenze di Enel presso il campo geotermico di Larderello, precisiamo che Enel ha sempre adottato le misure di protezione e di salvaguardia inerenti la tutela delle condizioni di lavoro nel rispetto della normativa nel tempo vigente. Enel si riserva comunque ogni più approfondita valutazione a valle del deposito delle motivazioni della sentenza, anche ai fini di un possibile appello”.