Archivi categoria: Sentenze

Amianto : Sentenze

La Spezia, operaio navale morì per amianto. Il tribunale: 740 mila euro alla famiglia

L’uomo è morto nel 2021, a 74 anni, per le conseguenze di un tumore polmonare causato dal contatto con l’amianto

Dipendente comunale morto a 58 anni per l’amianto, Roma Capitale condannata. Alla famiglia “solo” 61mila euro

Ezio Bonanni presidente dell’osservatorio Nazionale Amianto e legale annuncia il ricorso in Cassazione: “Chiederemo un risarcimento adeguato non solo per il danno economico, ma anche per il dolore inflitto alla famiglia”

La Corte di Appello ha condannato Roma Capitale all’indennizzo di “sole” 61mila euro per la morte del dipendente Armando Cecconi avvenuta all’età di 58 anni per un mesotelioma polmonare causato dall’esposizione all’amianto in ambiente lavorativo. Nessun risarcimento è stato accordato alla moglie Giovanna Colasanti, e al figlio Emanuele, che all’epoca della morte del padre aveva 24 anni.

Chi era Armando Cecconi

Una storia drammatica ricostruita anche grazie all’aiuto dell’osservatorio nazionale amianto che ha seguito il caso. Armando Cecconi aveva lavorato come netturbino comunale per un anno dal 1970 dal 1971. Poi dal ’71 fino al 1984 come addetto allo smistamento della posta presso la sede di via dei Cerchi e dall’84 al 1994 come commesso manutentore presso la stessa sede. Nel 2002 la notizia  della diagnosi di un versamento pleurico destro che poi diventerà mesotelioma polmonare. Dopo una chemioterapia e altre cure, Cecconi morì il 14 agosto 2004.

Secondo quanto emerso, Armando Cecconi per tutta al sua vita professionale come dipendente comunale era stato esposto a “a polveri e fibre di amianto” che avevano la capacità di “irritare le vie respiratorie”, perché a contatto con “aria contaminata respirata ogni giorno”. Le perizie CTU, sia quella ingegneristica avvenuta nel 2022 che quella medico-legale del 2023, confermano l’esposizione alla fibra killer durante la manutenzione degli impianti. 

L’amianto era ovunque nelle tubazioni, nelle guarnizioni di impianti termici e, in generale, sugli impianti tecnologici”, come spiega l’osservatorio nazionale amian. Nonostante la legge imponesse l’impiego di misure preventive, il Comune di Roma non avrebbe però adottato le precauzioni necessarie per proteggere la salute del dipendente.

La graduale sostituzione dell’amianto con materiali aventi analoghe caratteristiche, ma meno rischiosi dal punto di vista ambientale e della salute, infatti, avvenne solo nel 1992: troppo tardi per Armando Cecconi che nel dicembre 2002 riceve la tragica diagnosi di “mesotelioma epitelioide alla pleura” che, dopo un calvario di durato due anni, causa la morte.

Amianto : Sentenze

Taranto, «Amianto, nessun reato dei vertici della Marina»

Nuova richiesta di archiviazione del pm sul caso Vittorio Veneto

TARANTO – «Non vi è prova della dispersione di polveri contenenti amianto nell’ambiente esterno» e «non si ravvisano comportamenti penalmente rilevanti da parte degli indagati». Si chiudono così le 50 pagine che compongono la richiesta di archiviazione depositata dal pubblico ministero Filomena Di Tursi sul caso di Nave Vittorio Vittorio e del suo carico da 1200 kg di fibre velenose che ha portato all’apertura di un’indagine per i danni causati sui lavoratori della forza armata e i cittadini di Taranto nel periodo in cui l’ex unità navale della Marina militare è stata ormeggiata alla banchina Torpediniere tra il 2007, dopo il suo disarmo, e il 2021.

L’inchiesta originale era partita dalla denuncia di due cittadini, uno dei quali assistiti dall’avvocato Ezio Bonanni dell’«Osservatorio Nazionale Amianto», ma il pm Di Tursi aveva chiesto una prima archiviazione: il gip Benedetto Ruberto, però, aveva disposto nuove indagini sul caso e l’iscrizione nel registro degli indagati di otto militari tra ammiragli e alti ufficiali. L’accusa ipotizzata nei loro confronti era di inquinamento ambientale e disastro ambientale colposo: per il giudice, in sostanza, tutti i livelli gerarchici della Marina era a conoscenza del rischio per i cittadini e l’ambiente marino, ma nessuno ha disposto la bonifica dell’ex ammiraglia della Marina fino l’8 giugno 2021, data della partenza verso la Turchia dov’è poi stata smantellata.

Dopo il provvedimento del gip, quindi, il pm Di Tursi ha effettuato nuovi accertamenti sulla vicenda e nel documento con cui sostiene che non vi siano responsabilità per gli indagati, spiega che «un’ipotetica emissione di fibre da parte del galleggiante produrrebbe un “impatto” assolutamente non significativo sulla salute della popolazione» e «un “contributo” non rivelabile rispetto al fondo urbano,

indubitabilmente ricompreso nell’alveo della normale tollerabilità». Insomma nessun rischio significativo. Nel documento, inoltre, la rappresentante della pubblica accusa ha inoltre chiarito che i suoi consulenti avevano rilevato durante alcune simulazioni presenze di fibre all’esterno dello scafo, ma in realtà quelle prove sono state compiute con una «metodologia errata e incongrua, anche quanto alle modalità di valutazione delle analisi e di risultati». A sostegno di questa nuova tesi, la procura ha depositato un parere tecnico redatto dall’Università di Bari che hanno sostenuto che i consulenti della procura «hanno alterato l’assetto, operando manovre non consentite» le condizioni della nave provocando così «la dispersione di fibre all’interno, campionando le stesse». In parole semplici l’uso di ventilatori nei locali interni allo scafo ha «potuto contaminare i rilievi condotti all’esterno del galleggiante».

Le nuove indagini, però, per l’accusa avrebbero chiarito questo aspetto e confermato la tesi iniziale del pm Di Tursi che ritiene che non vi siano responsabilità penali dei militari indagati. Ora il giudice Ruberto dovrà fissare una nuova udienza per ascoltare le parti e poi decidere se confermare o meno l’archiviazione.

Amianto: Sentenze

Operaio morto per l’esposizione all’amianto, risarcimento di 130mila euro ai familiari

Il tribunale di Roma ha condannato l’Enel per la morte di un ex operaio originario di Gualdo Tadino morto nel giugno 2018 all’età di 72 anni

Gualdo Tadino (Perugia), 30 gennaio 2024 – Il tribunale di Roma ha condannato l’Enel risarcire con una somma di 130mila euro i familiari di un ex operaio originario di Gualdo Tadino morto nel giugno 2018 all’età di 72 anni a causa di un mesotelioma pleurico derivante dall’esposizione professionale all’amianto. Lo ha annunciato l’Osservatorio nazionale amianto secondo cui aveva prestato servizio presso la centrale di Gualdo Cattaneo per 33 anni, lavorando come manutentore di officina meccanica e delle linee elettriche.

Per l’Osservatorio fino al 1990 l’uomo e gli altri operai non disponevano di adeguate misure di protezione individuale né era a conoscenza della presenza delle fibre nocive e del loro impatto sulla salute.

L’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto e legale della famiglia, ha attribuito all’Enel anche la violazione degli obblighi relativi alla sicurezza sul lavoro. L’Enel è quindi intervenuta con una nota sottolineando che il tribunale ha comunque ridotto la richiesta risarcitoria. L’azienda ha quindi evidenziato di avere “sempre adottato le misure di protezione e di salvaguardia inerenti la tutela delle condizioni di lavoro nel rispetto della normativa nel tempo vigente”.

Enel precisa inoltre che “l’ex dipendente, dopo aver lavorato quale elettricista presso aziende di impianti elettrici, ha poi svolto l’attività come manutentore alla centrale termoelettrica di Bastardo e, successivamente, presso la sede di Gualdo Tadino con qualifica di operaio e manutentore di linee elettriche”. L’Azienda “si riserva ogni più approfondita valutazione a valle del deposito delle motivazioni della sentenza, anche ai fini di un possibile appello”.

Amianto : Sentenze

Esposta per anni all’amianto, morta per mesotelioma: alla figlia 130mila euro

Luigia Cheli morì tra atroci sofferenze. Aveva lavorato, esposta all’amianto, nelle centrali di Larderello e Serrazzano. L’azienda si riserva di presentare appello

Pisa, 24 gennaio 2024 – Luigia Cheli doveva lavare le tute degli operai in servizio alle centrali Enel di Serrazzano Larderello (Pisa), e svolgere altre mansioni come pulire le turbine, i trasformatori (di vapore in energia), la sala macchine, mansioni che avvenivano quando i macchinari erano aperti a stretto contatto con le polveri di amianto, presenti anche nei magazzini generali e nella mensa aziendale, essendo i forni coibentati con il pericoloso minerale. Aveva anche il compito di imballare e rammendare le balle e i contenitori di borace.

Luigia Cheli viveva a Monteverdi Marittimo, sulle splendide colline che dall’ultimo lembo della provincia di Pisa guardano il mare della costa livornese; aveva lavorato per Enel per circa 14 anni, dal 1969 al 1983; gli ultimi nove come dattilografa e segretaria. Poi la pensione, ma nel gennaio 2017, a 26 anni dal ritiro dal lavoro, la terribile diagnosi infausta che ha colpito ben più di un lavoratore: mesotelioma pleurico epiteliomorfo. Una malattia devastante che dopo mesi di agonia nel settembre dello stesso anno la portò alla morte.  

Alla fine la vicenda è approdata in tribunale a Roma e il giudice ha condannato Enel per la morte da mesotelioma per l’esposizione ad amianto durante la sua attività lavorativa dell’ex dipendente. L’azienda dovrà pagare 130mila euro all’erede e figlia della vittima, Daniela Barsotti, assistita dal presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto avvocato Ezio Bonanni.

A confermare il nesso tra esposizione ripetuta nel tempo al patogeno e l’insorgenza del mesotelioma, anche la perizia del consulente tecnico; dall’istruttoria è emerso che l’amianto era presente in diversi comparti sia nella centrale geotermoelettrica di Larderello, la prima al mondo ad aver sfruttato l’energia geotermica nella produzione di elettricità, che in quella di Serrazzano, e che la Cheli fu esposta alla fibra e tenuta all’oscuro della lesività delle fibre e della loro capacità di provocare il cancro

Sul fatto interviene anche Enel: “In merito alla decisione del Tribunale di Roma sul giudizio risarcitorio promosso dall’erede di una lavoratrice che ha svolto l’attività alle dipendenze di Enel presso il campo geotermico di Larderello, precisiamo che Enel ha sempre adottato le misure di protezione e di salvaguardia inerenti la tutela delle condizioni di lavoro nel rispetto della normativa nel tempo vigente. Enel si riserva comunque ogni più approfondita valutazione a valle del deposito delle motivazioni della sentenza, anche ai fini di un possibile appello”.

Amianto : Sentenze

Amianto nei cavi del telefono: 20 anni in Telecom, muore: pensione alla vedova

L’uomo è morto di mesotelioma a causa dell’esposizione professionale alla fibra cancerogena nelle centrali romane. Condannata l’Inail

Il Tribunale di Roma ha condannato INAIL alla costituzione in rendita di reversibilità in favore di Riccardina Loconte, vedova di Gian Piero Defendini,romano, classe 1949, deceduto per aver contratto un mesotelioma pleurico a causa dell’esposizione professionale a polveri e fibre di amianto mentre era alle dipendenze di Telecom Italia, già Sip. 

L’uomo aveva prestato servizio in azienda per 20 anni, dal luglio del 1973 al marzo del 2003, come “addetto ad attività tecniche, specializzato in centrali telefoniche e ponti radio” svolgendo mansioni  nelle centrali romane di Appia (Via Sannio), Esquilino, Cinecittà e Colombo manipolando costantemente le sottilissime fibre di amianto durante la verifica dei materiali e della componentistica delle parti elettriche, e durante la sostituzione delle parti elettroniche usurate collocate negli isolatori, nei trasformatori e negli interruttori. L’azienda utilizzava anche teli di amianto che venivano spesso tagliati e maneggiati e trasportati senza appositi dispositivi di protezione. Esposizioni proseguite anche alla luce dei ritardi delle bonifiche.

Amianto : Sentenze

Militare morì per esposizione ad amianto, condannati ministeri

Sentenza del Tribunale di Parma. Ona: 400mila euro alla vedova

l Tribunale di Parma ha condannato i Ministeri della Difesa e dell’Interno, per la morte di un militare, originario di Arquà Polesine (Rovigo) e residente a Sissa Trecasali, nel Parmense, e deceduto il 23 maggio 2018 per una forma rara di cancro, il mesotelioma pleurico epiteliomorfo, causato dall’esposizione alle fibre di amianto nel periodo di servizio al Reggimento di Cavallino Treporti (Venezia) dell’Esercito.

E’ quanto fa sapere l’Osservatorio Nazionale Amianto (Ona).
    Il militare, che era stato meccanico specializzato anfibista, e che si era occupato sia della manutenzione che della guida dei carri anfibi, anche sulla base di quanto riportato nella relazione del medico legale, e secondo gli accertamenti condotti dai periti, è stato esposto senza strumenti di prevenzione tecnica e protezione individuale alla fibra killer, presente anche nei vari locali in cui si svolgeva la sua attività quotidiana.
    Per queste motivazioni il ministero dell’Interno è stato condannato al riconoscimento dell’uomo vittima del dovere, ed entrambi i dicasteri a liquidare alla vedova, che tuttora risiede con la famiglia a Sissa Trecasali, i benefici spettanti alle “vittime del terrorismo, del dovere ed equiparati e del servizio”.

Macchinista della metro A «fu esposto all’amianto», l’Inps condannata al prepensionamento

La sentenza della terza sezione lavoro della Corte d’appello di Roma dopo aver appurato che le attività erano state svolte senza dispositivi di protezione, quali maschere e tute monouso 

La Corte d’appello di Roma ha condannato l’Inps al prepensionamento di un dipendente Atac dell’officina deposito Osteria del Curato – G.M., conducente di linea per sette anni (dal 1982 al 1989) e poi macchinista della metro A di Roma per altri 27 anni. L’uomo sarebbe stato esposto sempre all’amianto utilizzato nei rotabili dei convogli della metropolitana, nelle parti meccaniche come guarnizioni, ferodi dei freni, frizioni, coibentazioni.

Respinti i primi due ricorsi all’Inail

La sentenza del collegio di giudici Scarafoni-Marrocco-Turco viene definita «storica» dall’Osservatorio nazionale amianto «perché riconosce i benefici contributivi amianto e l’aumento della pensione con una maggiorazione del 50% fino alla data in cui l’operaio è andato in pensione». L’esposizione alle fibre killer ha causato al macchinista placche pleuriche e fibrosi polmonari diffuse, ma in un primo momento l’Inail avrebbe respinto la richiesta del riconoscimento della malattia professionale «asbesto correlata». Respinto anche il successivo ricorso amministrativo.

Amianto :Sentenze

IL CASO

Genova, ex saldatore morto per un mesotelioma. La sentenza: “Respirò amianto, Fincantieri paghi”

Azienda condannata a risarcire la moglie e due figlie dell’operaio. L’uomo, mancato a 80 anni, era un ex culturista non fumatore

Genova – La Fincantieri dovrà risarcire complessivamente quasi 740mila euro alla moglie e alle due figlie dell’ex operaio. Morto a 80 anni a causa di un mesotelioma provocato dal contatto prolungato con le fibre d’amianto, avvenuto negli anni in cui l’uomo era in servizio presso il polo produttivo sestrese. Lo ha stabilito la giudice della sezione lavoro del tribunale di Genova Maria Ida Scotto. Una decisione frutto anche dell’impegno dei famigliari e dei loro legali, che hanno rintracciato alcuni colleghi di un tempo dell’uomo, ancora in vita, portando in tribunale le loro testimonianze. La giudice ha anche posto a carico dell’azienda le spese legali, per un ammontare, compreso il risarcimento, che si avvicina agli 800mila euro. Fincantieri ora dovrà decidere se impugnare o meno la sentenza, emessa lo scorso 7 dicembre. Le cui motivazioni saranno pubblicate entro 60 giorni da quella data. La storia lavorativa all’interno di Fincantieri dell’ottantenne, residente a Molassana e deceduto nel 2019, era iniziata nel 1956.

Per concludersi con il pensionamento nel 1992. Una carriera che lo aveva visto impegnarsi a fondo e guadagnare diverse promozioni. Prima saldatore, poi tracciatore, cioè incaricato di misurare e marcare su una lamiera le linee lungo le quali vengono effettuati i tagli. E ancora capo tracciatore e infine capo reparto. Trentasei anni di lavoro. Non fumatore e sportivo, aveva praticato a lungo il culturismo. Dopo una serie di avvisaglie, l’uomo era stato sottoposto a diversi esami che avevano portato nel luglio del 2018 alla diagnosi di mesotelioma. Nel dicembre dell’anno successivo, dopo mesi di tentativi di cura e sofferenza, era morto.

Affiancate dagli avvocati Antonella Piccini e Stefano Suppa, la moglie e le due figlie dell’ottantenne avevano intrapreso una causa per vedere riconosciuto un risarcimento. E messa nero su bianco la responsabilità del datore di lavoro dell’ex operaio. Che non lo aveva messo al riparo dai danni che l’inalazione delle fibre di amianto gli avrebbero provocato nei suoi anni in Fincantieri. Una battaglia non semplice. Intanto per il tempo trascorso fra il periodo lavorativo e la scoperta della malattia. Per questo è servito un importante lavoro di recupero della documentazione e di ricerca di possibili testimoni. Altri lavoratori dell’epoca. Alcuni, come detto, sono stati rintracciati e portati in udienza come testimoni.

Poi la perizia del medico legale incaricato dal tribunale. Secondo il quale nessun mezzo dell’epoca avrebbe potuto prevenire la patologia. I legali della famiglia, però, hanno citato una sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, dello scorso gennaio. Secondo la quale il datore di lavoro, quando viene a conoscenza della nocività di un’operazione legata all’amianto, deve prendere ogni provvedimento per evitare l’esposizione. Arrivando a modificare l’attività produttiva. Ecco, secondo i legali, se è vero che l’amianto è stato messo fuori legge da una norma del 1992, già nel 1956 un’altra legge imponeva di annullare o comunque ridurre la diffusione di polveri, installando sistemi di aspirazione o trasferire quelle attività in luoghi chiusi. In alternativa, inumidire i pezzi da lavorare. Anche alcuni studi dell’inizio del ’900 mettevano in guardia dall’esporre alle polveri di amianto donne e bambini. Insomma, per i due avvocati Fincantieri non poteva non sapere quanto quel materiale fosse pericoloso. E avrebbe dovuto prendere provvedimenti per garantire la sicurezza dei propri lavoratori. La giudice ha stabilito un risarcimento che riguarda il decesso stesso dell’ottantenne e l’indennizzo alla moglie e alle figlie. Per un totale di 738.676,50 euro.

Amianto : Sentenze

Esposto all’amianto nei laboratori Enea, muore di mesotelioma: l’Agenzia condannata a risarcire i familiari

Federico B. lavorava nel centro di Casaccia, vicino Anguillara, facendo esperimenti sui metalli. Il Tribunale di Roma ha stabilito che la vedova e i due figli abbiano 49 mila euro

Il Tribunale di Roma ha condannato l’Enea, per la morte del Sig. Federico B., avvenuta a 78 anni per un mesotelioma pleurico legato all’esposizione alle fibre di amianto. Ai familiari, i due figli e la vedova, è stato riconosciuto un risarcimento pro quota pari a 49.319,00.

L’uomo, nato a Roma e residente ad Anguillara Sabazia, aveva prestato servizio per 34 anni presso il Centro Enea di Casaccia, nello specifico al Laboratorio di Tecnologie dei Materiali, svolgendo mansioni finalizzate allo studio e alla ricerca dei materiali, in particolare dei metalli. Qui è stato esposto fino al prepensionamento a radiazioni pericolose e a materiali contenenti amianto, anche dopo la messa al bando del minerale, senza per altro essere dotato di adeguati strumenti di prevenzione e protezione. La terribile diagnosi era arrivata nel 2016 e, dopo un anno di atroci sofferenze, l’uomo è deceduto nel maggio 2017.

Amianto : Sentenze

Bidello morto per amianto al Volta di Trieste, la Corte d’Appello: «Il ministero risarcisca la famiglia»

Sentenza di primo grado ribaltata. Per i giudici l’esposizione professionale determinò il mesotelioma

TRIESTE. Aveva lavorato presso l’Istituto tecnico statale “Alessandro Volta” di Trieste, alle dipendenze del Ministero dell’istruzione, per tutta la sua vita professionale, dal 2 maggio 1967 fino al pensionamento, il 3 giugno 1985, ricoprendo le mansioni di bidello e magazziniere, oltre ad occuparsi della pulizia delle officine didattiche. Dall’anno scolastico 1970/1971 l’istituto si trasferì nel nuovo edificio di via Monte Grappa, spostandosi dalla sede di via Battisti. L’uomo morì l’11 luglio 2017 a causa di un mesotelioma epitelioide. Un decesso,…

Processo Enichem, assolti gli undici imputati accusati di omicidio colposo

Sono ex direttori, amministratori e membri dei consigli di amministrazione di quattro società che hanno gestito l’impianto chimico di Pieve Vergonte

Sono stati tutti assolti, perché “il fatto non sussiste”, gli undici imputati per omicidio colposo a Verbania nel processo Enichem 1.

Lo riporta il giornale ‘’Lo Spiffero’’.  Si tratta di ex direttori di stabilimento, amministratori e membri dei consigli di amministrazione di quattro società (Rumianca, Anic, EniChimica Secondaria ed EniChem Synthesis) che, tra gli anni ’70 e la metà degli anni ’90, hanno gestito l’impianto chimico di Pieve Vergonte.

”La vicenda – scrive Lo Spiffero – riguarda la morte di tre ex dipendenti che hanno lavorato nello stabilimento: due di loro si sono ammalati di mesotelioma della pleura, il terzo di tumore polmonare”.

A maggio il pm Nicola Mezzina, della Procura di Verbania, ritenendo che i decessi fossero dovuti alla presenza di amianto nello stabilimento, aveva chiesto per i 12 imputati (uno di loro, nel frattempo, è deceduto) condanne con pene da un anno a un anno e otto mesi.

Il Tribunale di Verbania però – scrive Lo Spiffero,  ‘’ha stabilito di non doversi procedere per quanto riguardo il reato, ascritto a tutti e 11 gli imputati, di lesioni personali colpose ai danni di una quarta persona, in quanto estinto per intervenuta prescrizione’’.

Amianto : Sentenze

Naja in mezzo all’amianto killer: alla vedova mezzo milione di euro

Risarcita dopo anni la moglie di un cannoniere. Aveva fatto la leva nel 1967 a Pordenone. Da oggi la sentenza del Tribunale di Roma è definitiva

Il ministero della Difesa risarcirà con mezzo milione di euro la vedova di Pietro Caratelli, deceduto a 71 anni nel 2018 a causa di un mesotelioma. L’uomo, durante il servizio di leva svolto a Pordenone nel 1967, era stato esposto nei mezzi corazzati all’amianto, all’uranio impoverito e al radon. Lo ha deciso il Tribunale di Roma, che ad aprile ha condannato la Difesa a risarcire la donna. Oggi la sentenza è diventata definitiva

Caratelli aveva prestato servizio in qualità di cannoniere nella caserma Franco Martelli di Pordenone. In quegli anni, aveva lavorato senza strumenti di prevenzione tecnica e individuale, manipolando materiali patogeni. A partire dai guanti e dalle pezze di amianto necessarie per utilizzare la mitragliatrice montata sui carri. L’amianto, inoltre, era diffusamente usato nella caserma, sia negli edifici, sia nelle officine.

Già nel 2020, la Difesa era stata condannata in via definitiva a riconoscere il militare vittima del dovere e il ministero dell’Interno a concedere alla donna i benefici assistenziali.