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Amianto: Sentenze

Venezia, trent’anni a pilotare la barca con amianto: ora l’hotel Cipriani deve risarcire i figli

Il primo caso per un motoscafista morto di mesotelioma pleurico: 629 mila euro agli eredi. La perizia: entità modesta di amianto ma significativa visto il tempo di esposizione

La Corte d’appello condanna l’hotel Cipriani a risarcire i figli di un suo ex motoscafista con 629 mila euro. L’uomo che per oltre trent’anni, dal 1970 fino al 2003, ha accompagnato i vip di tutto il mondo da una parte all’altra della laguna a bordo del motoscafo del blasonato albergo veneziano, nel 2013, all’età di 72 anni, si è spento dopo mesi di agonia per essersi ammalato di mesotelioma pleurico, anche detto il «tumore dell’amianto». P.V. oltre a trascorrere l’intera giornata lavorativa pilotando l’imbarcazione dell’hotel si occupava spesso di piccoli interventi di manutenzione della barca, quella stessa nella quale sono state rilevate tracce di amianto tanto in varie parti del vano motore quanto nel suo rivestimento esterno. Per questo nel 2018 l’avvocato veneziano Enrico Cornelio, per conto della moglie di P.V. (nel frattempo venuta a mancare) e dei suoi due figli, aveva presentato sia un ricorso al tribunale di Venezia affinché gli eredi venissero risarciti per la sofferenza patita dal loro marito e padre prima di morire, sia avviato una causa civile che ripagasse i danni subiti per la malattia provocata dall’esposizione all’amianto

Poco amianto ma esposizione significativa

La sentenza di primo grado aveva stabilito che l’hotel Cipriani dovesse risarcire i parenti del defunto con circa 165 mila euro, saldo che la Corte d’appello ha ora innalzato a 629 mila euro, di cui 318 mila saranno destinati al primo figlio e 311 mila al secondo. Nel corso della perizia tecnica eseguita nel 2018 era stata individuata una sola fibra di amianto nelle parti di legno prelevate dall’interno della motoscafo, un’entità modesta ma «particolarmente significativa considerato il tempo trascorsovi a contatto», come indicò il professionista incaricato dal giudice, l’ingegnere Zipponi. 

Il primo caso per un motoscafista

Il nesso di causa tra il contatto prolungato con l’eternit e il decesso è sempre stato negato dall’hotel Cipriani, difeso dall’avvocato Matteo Fusillo, il quale dovrà comunque risarcire i figli del proprio ex dipendente ora che la Corte d’appello ha confermato la sentenza emessa dal giudice del lavoro Chiara Coppetta Calzavara nel 2019. Fino al momento della prima sentenza che ha riconosciuto le cause del decesso di P.V., le morti per amianto erano sempre state ritenute un problema dei lavoratori in ambito industriale portuale, mai della categoria dei motoscafisti, nesso in cui ha creduto fortemente fin da subito l’avvocato Corne

Amianto killer, 1.800 casi in 26 anni. Giustizia-lumaca: un indennizzo l’anno

Vittime dell’amianto, l’Inail viene nuovamente condannata. La sentenza è relativa ad un caso di decesso nel trapanese, ma siamo alla punta dell’Iceberg. In Sicilia i casi di mesotelioma sono 200 l’anno, ma i casi giudiziari che passano per l’Ona sono appena uno ogni 365 giorni

La nuova condanna all’Inail

Mesotelioma maligno epitelioide. Questo è il nome specifico della malattia che ha stroncato la vita di un lavoratore deceduto circa tre anni fa. Questo tumore si è sviluppato per via dell’esposizione prolungata alle fibre di amianto avvenuta durante i 50 anni di attività del lavoratore, prima come meccanico frigorista, poi nel cantiere navale di Trapani. A stabilirlo è la Corte d’Appello di Palermo, che ha ribaltato la sentenza di primo grado del Tribunale di Marsala e ha condannato l’Inail a risarcire la vedova del defunto. La donna riceverà anche una rendita dal valore di circa 45 mila euro, in aggiunta agli arretrati. In merito al risultato giudiziario Bonanni commenta: “Le malattie da amianto sono ancora sottostimate, ci sono una serie di tumori che sono molto più frequenti rispetto all’entità valutata che la fibra killer ha provocato, soprattutto per gli operatori dei cantieri navali e di altre aziende”.

Amianto, 3.366 sono stati “esposti” I parenti delle vittime: non molliamo

Dopo la notizia dell’archiviazione per 52 decessi sospetti attorno alla Eternit di Rubiera: “Siamo delusi. Ora studieremo le motivazioni, ma siamo pronti a ripartire da cause singole e fatte molto bene

La chiamano ’la corte degli esposti’: sono tutti coloro che hanno fatto parte della produzione di manufatti di cemento amianto, negli anni in cui era legale farlo. E lo è stato fino al 1992, quando una legge lo ne ha vietata la produzione in tutta Italia. Nella provincia di Reggio Emilia questa corte conta 3.366 addetti: impossibile, invece, quantificare quanti vi siano venuti a contatto in maniera collaterale; perché vivevano vicino a una fabbrica, perché lavavano a casa le tute dei mariti o perché quelle fibre d’amianto erano nell’aria o negli oggetti più comuni e innocenti che potessero entrare in casa: come i fornetti-giocattolo per bambini.

In Emilia-Romagna c’erano dieci aziende che producevano lastre di amianto, tra gli anni Sessanta e il 1992; di queste dieci otto erano in territorio reggiano. Quello che può aver fatto la differenza – una differenza fra la vita e la morte – è l’aver fatto rispettare le norme di sicurezza in azienda; regole che già erano in vigore dal 1956: non soltanto usare le mascherine, ma evitare che si sollevassero polveri, abbatterle immediatamente, l’inumidimento materiali, l’effettuare pulizie con aspiranti, il separare i materiali pericolosi dagli altri, il fatto di non consumare i pasti sui luoghi di lavoro e non portare a casa gli indumenti da lavare.

La notizia dell’archiviazione (anticipata ieri dal Carlino) datata gennaio 2021 del fascicolo per omicidio colposo di 52 presunte vittime d’amianto – gravitate intorno alla Icar spa (poi divenuta ‘Industria Eternit Reggio Emilia’) sulla via Emilia a Rubiera – è rimbalzata tra gli addetti ai lavori e familiari delle vittime. Sul registro degli indagati c’erano Stephan Ernst Schmidheiny (ultimo proprietario della Eternit) e Luigi Giannitrapani (ex ad dell’Eternit di Rubiera). Ma il gip del tribunale di Reggio, su richiesta del pm, ha archiviato tutto: “Impossibile attribuire agli indagati la responsabilità per le morti delle persone offese a causa della inalazione dell’amianto per la mancanza di accertamento del nesso di causalità tra il momento della incubazione e quello della morte”, dicono i magistrati

Amianto :Sentenze

Malattie da amianto, banca condannata a risarcire un dipendente

Il lavoratore, che a 44 anni aveva contratto un mesotelioma, indennizzato con 200mila euro per aver lavorato a lungo esposto al materiale nocivo

La Corte d’Appello di Roma ha confermato la condanna nei confronti dell’Inail ad indennizzare il danno da mesotelioma pleurico subito da un uomo di 44 anni, dipendente di Banca San Paolo presso la filiale di Roma Eur, che riceverà 200mila euro di arretrati più una rendita per il resto della vita. L’ente aveva impugnato la sentenza di primo grado, negando che l’amianto potesse essere responsabile dell’insorgenza della malattia. La filiale, come sostenuto in tribunale dai legali del dipendente, era però costituita da una costruzione in amianto, bonificata solo nel 2007. 

L’impiegato ha svolto servizio dal 2000 per 14 anni presso la filiale San Paolo in Viale dell’Arte e ha respirato le fibre di amianto spruzzato anche nelle travi del soffitto” – spiega Ezio Bonanni, avvocato e presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, che sottolinea – “solo dopo molti anni dall’inizio dell’attività l’amianto venne bonificato. La prova che ho reso al giudice sulla tardività dell’intervento si è rilevata decisiva, come confermato dalla Corte d’Appello. Dopo questa condanna dell’Inail inizieremo la causa contro la Banca Intesa San Paolo per il risarcimento dei danni differenziali. Purtroppo tra i dipendenti bancari vi è un’alta incidenza di casi di mesotelioma”.

Nuova sconfitta giudiziaria per i lavoratori esposti ad amianto

La Corte di Cassazione mette la parola fine alle richieste di giustizia dei lavoratori esposti ad amianto. A vederla così è l’Ona, Osservatorio nazionale amianto, che commenta la sentenza del Palazzaccio: “l paradosso è che adesso l’INPS chiede indietro ai lavoratori le somme ricevute in questi anni”

Arriva un’altra sconfitta giudiziaria per i lavoratori esposti ad amianto. Gli operai delle industrie meccaniche siciliane che in passato sono stati a stretto contatto con l’asbesto saranno costretti a rimborsare l’Inps delle somme percepite in questi anni. La Corte di Cassazione ha infatti rigettato le richieste dei lavoratori e messo la parola fine ad una vicenda giudiziaria molto lunga. I motivi della sentenza sarebbero “Cavilli, tra i tanti, con i quali si vanifica il dato concreto, costituito dalla prova dell’elevata esposizione ad amianto, senza cautele”, afferma a caldo di Ezio Bonanni, legale dei lavoratori e presidente dell’Ona, l’Osservatorio nazionale amianto.

Una lunga storia processuale

Le tre fasi della vicenda giudiziaria si sono svolte in questo modo. In primo grado gli accertamenti avevano confermato l’elevata esposizione degli operai alla fibra killer, i quali avevano ottenuto il prepensionamento dall’Inps. Poi in Appello la Corte di Catania aveva ribaltato l’esito della prima sentenza, dando ragione all’Istituto nazionale della previdenza sociale. Per tutta risposta l’Ona, l’Osservatorio nazionale amianto, aveva presentato ricorso a questa sentenza. Ricorso che è stato però rigettato dalla Corte di Cassazione. Ciò mette la parola fine alle richieste di giustizia dei lavoratori esposti ad amianto. “Sono talmente amareggiato che non riesco a esprimerlo a parole, abbiamo subito un danno enorme, è un verdetto che non può essere accettato” ha infatti dichiarato Calogero Vicario, responsabile dell’Ona Sicilia.

La lotta con i polmoni pieni d’amianto

“Pensavamo che i giudici avessero umanità, mentre per un cavillo si mette in discussione il rischio di esposizione all’amianto per i lavoratori” spiega il responsabile dell’Ona Sicilia, che prosegue: “Sono amareggiato perché dal 2008 ci battiamo per i diritti dei lavoratori siciliani e per far emergere la problematica dell’amianto in Sicilia”. Come si legge dalla nota dell’Ona Calogero Vicario è uno dei più “battaglieri” degli aventi diritto ai risarcimenti, e ha spostato la causa in tutto e per tutto. “Sin dalla sentenza dall’Appello abbiamo fatto lo sciopero della fame per 100 giorni. Io stesso per protesta mi sono fatto crescere la barba per 1030 giorni e sono stato preso di petto dalle istituzioni” dichiara. Il responsabile di Ona Sicilia si dimostra anche particolarmente preoccupato per le conseguenze della sentenza della Corte di Cassazione: “Il paradosso è che adesso l’INPS ci chiede indietro le somme ricevute in questi anni. Io ho i polmoni pieni di amianto e ho pagato il prezzo più alto. Adesso servono iniziative per aiutare i lavoratori che coinvolgano la politica e per contrastare l’Inps“.

Tanti casi malattie asbesto correlate tra i lavoratori siciliani

L’Ona, nonostante la sentenza, esprime la volontà di proseguire la sua lotta contro l’amianto nelle aule dei tribunali e nelle fabbriche. Tra l’altro la regione Sicilia si dimostra tutt’altro che immune da questi problemi. Infatti è particolarmente elevato il numero di casi di malattie asbesto correlate, tra i quali mesoteliomi, tumori polmonari e asbestosi. Il settimo rapporto ReNaM dell’Inail riporta 1810 casi solo di mesotelioma dal 1992 al 2018il 5,7 per cento del totale in Italia.

Amianto : Vittime

Bari, la Fibronit uccide ancora: ennesima vittima dell’ex fabbrica di amianto

BARI – «Bari piange un altro cittadino, prima ferito e poi ucciso dall’amianto. Una donna. Giovane, che ha vissuto a ridosso della Fibronit sino al giorno in cui ha scoperto di essere stata colpita dal mesotelioma». Inizia così l’ennesima tragica puntata della lunga scia di dolore che l’ex stabilimento Fibronit, la fabbrica di amianto nel cuore del quartiere Japigia, ha portato con sé nell’arco dei decenni fino alla sua dismissione e bonifica.

il racconto ha la voce di Nicola Brescia del «Comitato cittadino Fibronit».

«Una donna che, nel momento in cui ha appreso la terribile diagnosi, era smarrita. E con lei i suoi cari. Nessuno, compreso i medici, era in grado di darle assistenza per affrontare il dramma che stava vivendo e si è rivolta a noi del Comitato Cittadino Fibronit per cercare un minimo di assistenza» racconta Brescia, spiegando che «ci siamo attivati subito coinvolgendo la straordinaria sensibilità dell’associazione familiari vittime amianto di Bari, il cui è responsabile, Lillo Mendola, è stato l’unico supporto della famiglia sino ad oggi».

Un nuovo dramma che mette la città ancora una volta dinanzi alla constatazione che «il mesotelioma ha vinto ancora. Ha tolto il respiro ad una ennesima nostra concittadina – continua Brescia – Ma è sul dolore di queste donne e di questi uomini che nascerà, sull’area della ex Fibronit, il Parco della Rinascita. Ma questo spazio verde non avrà alcun senso se al suo interno non troveranno ascolto e assistenza coloro che vivono esperienze così terribili. Non avrà valore se non sarà anche il luogo in cui prevenire la malattia, specie nelle persone che, professionalmente o come semplici cittadini, sono stati a contatto con le polveri d’amianto. E noi continueremo a chiedere che nel Parco della Rinascita trovi spazio un presidio medico dedicato agli ex esposti all’amianto. Perché solo in questo modo la Rinascita sarà autentica e completa».

Amianto: Sentenze

Amianto nelle locomotive, Inail condannata a pagare rendita di 200 mila euro ai familiari di un ex macchinista

La vedova di Vincenzo Sabato, morto di mesotelioma pleurico per l’esposizione alla “fibra killer”, ne avrebbe avuto diritto già nel 2007. Nel frattempo però è deceduta anche lei. I soldi adesso andranno ai cinque figli della vittima. Il legale: “Quando la giustizia arriva tardi è una vittoria a metà”

L’Inail dovrà pagare una rendita di 200 mila euro alla vedova dell’ex macchinista delle Ferrovie dello Stato, Vincenzo Sabato, morto di mesotelioma pleurico per l’esposizione all’amianto. La sentenza è stata emessa dal Tribunale di Palermo e il diritto è stato riconosciuto a partire dal 2007, anno del decesso. Ma la giustizia è arrivata troppo tardi: la vedova di Sabato, Giuseppa Consiglio, è venuta a mancare l’anno scorso. La somma sarà quindi devoluta dall’Inail ai cinque figli della vittima. Sin dal 2015 la donna aveva cercato di ottenere giustizia per il marito che aveva lavorato in Ferrovie per oltre 30 anni. Ad assisterla, i legali dell’Ona, l’Osservatorio nazionale amianto.

Ferrovie: lavoratori vittime della fibra killer

Proprio tra i dipendenti delle Ferrovie si riscontrano casi maggiori di patologie asbesto correlate, come il mesotelioma, essendo una delle attività lavorative a maggior rischio di esposizione alla fibra killer. Nel settore ferroviario, infatti, sin dalle locomotive a vapore, l’amianto è stato presente in guarnizioni e rivestimenti. Poi dalla metà degli anni ’50 è iniziata la coibentazione con amianto sui nuovi rotabili, allargata in seguito a tutte le ottomila carrozze circolanti. Questa fu interrotta negli anni ’90, quando venne messo al bando il pericoloso cancerogeno. Si passò alla bonifica,completata all’inizio degli anni 2000.

“Le Fs hanno utilizzato amianto in modo abnorme nonostante si conoscessero già le sue capacità lesive per la salute umana – denuncia l’avvocato Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto e legale della famiglia – solo in seguito alle numerose condanne hanno avviato un tardivo processo di bonifica. Ora però occorre risarcire i danni alle vittime e ai loro familiari. Quando la giustizia arriva tardi è una vittoria a metà – sottolinea – perché, nonostante il risultato, nessuno potrà restituire ai figli un padre, in questo caso anche una madre che per lunghi anni ha atteso il riconoscimento di un diritto”.

L’amianto nelle ferrovie è per Inail un elemento ormai noto. Nell’ultimo Rapporto ReNaM dell‘Inail giunto alla sua settima edizione, si contano circa 160 casi, di cui quasi 70 tra i macchinisti. E purtroppo, tra le vittime inconsapevoli c’è stato anche il palermitano Vincenzo Sabato, come riconosce la sentenza del Tribunale: “Si può affermare – si legge nell’atto – che la patologia (mesotelioma pleurico), che ha portato al decesso Sabato Vincenzo, riconosce la sua origine nell’esposizione lavorativa alle fibre di amianto presenti nei locomotori da lui condotti nei circa 30 anni di dipendenza dalle Ferrovie dello Stato“.

Amianto killer. Cassazione accoglie ricorso della vedova di un dipendente Cotral Spa, morto a 37 anni

Era stato negato il risarcimento perché “fumatore”. La Cassazione accoglie ricorso della vedova di un dipentente a Centocelle Roma per Cotral Spa morto di cancro ai polmoni per esposizione all’amianto a 37 anni

Roma – La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della vedova e degli orfani di un lavoratore esposto ed ucciso da un cancro al polmone dovuto all’esposizione all’amianto.

L’operaio, elettromeccanico e manutentore di mezzi rotabili, dal 1988 aveva lavorato alle officine di Roma Centocelle di Cotral S.p.A., società di trasporto pubblico del Lazio, smontando apparecchiature e componenti elettrici contenenti amianto. Era il 1992 quando iniziarono a comparire i primi sintomi del tumore polmonare che ne causerà il decesso nel 1994 a 37 anni. I familiari si sono rivolti all’Osservatorio Nazionale Amianto e al suo presidente, l’avvocato Ezio Bonanni, per ottenere giustizia. Chiamata in giudizio l’azienda è riuscita ad ottenere il rigetto in appello, con la motivazione che il lavoratore fosse fumatore e che il cancro che lo ha ucciso fosse quello del polmone e non mesotelioma.

Nella sentenza infatti si legge: “l’attività lavorativa presso Cotral non era in grado di determinare da sola la produzione dell’evento lesivo, non avendo la forza di superare, in termini di efficienza causale, fattori estranei alla causa di servizio, quali la prolungata massiccia dedizione al fumo e lo svolgimento di una precedente attività lavorativa a rischio per un considerevole lasso di tempo”.

La Corte ha annullato  in luglio 2023 , invece le precedenti sentenze emesse negando il diritto al risarcimento degli eredi e ha riaperto il procedimento per non aver riconosciuto il “ruolo concausale ad ogni fattore, sia pure in maniera indiretta e remota, all’insorgere o all’aggravamento della patologia”.

Rilevano gli Ermellini: “si censura, tra l’altro, la sentenza impugnata per l’errata valutazione della condizione di rischio e dell’entità dell’esposizione, nonché per aver ignorato il ruolo sinergico e di potenziamento degli effetti cancerogeni dell’amianto attribuito al fumo di sigarette e per essersi dissociata dalle leggi scientifiche”. Infatti, soprattutto per il cancro al polmone il fumo di sigaretta e l’amianto contribuiscono entrambi a causare gravi danni alla salute di coloro che ne sono esposti.

La causa dovrà essere nuovamente celebrata in Corte d’appello si dovrà valutare il diritto dei familiari al risarcimento, sia dei danni subiti personalmente sia di quelli sofferti dalla vittima.

«Molti altri dipendenti Cotral hanno subito danni alla salute – dichiara Bonanni – attraverso lo Sportello Nazionale Amianto, siamo a disposizione di tutte le vittime, in particolare nel contesto della città di Roma, che vogliano chiedere il risarcimento dei danni.

Amianto : Sentenze

La Cassazione condanna la Marina Militare per l’esposizione all’amianto

Condannato in via definitiva a due anni di reclusione l’Ammiraglio Agostino Di Donna per la morte per carcinoma polmonare del meccanico navale Giovanni De Martino. Laura Mara: “Per la prima volta è stato riconosciuto in via definitiva il nesso causale fra l’esposizione alle polveri di amianto e l’insorgenza del carcinoma polmonare in soggetto fumatore”.

Roma, 7 luglio 2023. È arrivata stanotte in Cassazione la condanna definitiva a due anni di reclusione dell’Ammiraglio Agostino Di Donna, riconosciuto responsabile della morte del meccanico navale Giovanni De Martino, deceduto per carcinoma polmonare dopo 36 anni di servizio sulle navi della Marina Militare “cariche di amianto”. Di Donna era stato dapprima Direttore Generale MARISPESAN, ovvero l’Ispettorato di Sanità’ della Marina Militare dal 01.01.1983 al 31.12.1987, poi Direttore DIFESAN, la Direzione Generale della Sanità Militare dal 01.01.1988 al 31.12.1990.  La sentenza è stata pronunciata dalla IV Sezione Penale della Cassazione che ha confermato appunto

Asbetosi polmonare da esposizione di amianto

Asbetosi polmonare da esposizione professionale di amianto (Tribunale Ancona, sez. Lavoro, 02/11/2022 R.G. 29/2021).

Asbetosi polmonare contratta dal lavoratore per l’esposizione all’amianto.

I congiunti del lavoratore, deceduto per alterazione acuta del ritmo e/o della condizione cardiaca in soggetto affetto da amiloidosi sistemica con prevalente interessamento cardiaco e da asbestosi polmonare, allegano che il de cuius ha svolto attività lavorativa nella cantieristica navale dal 13.6.1956 al 31.12.1993.

Sostengono che nell’ambito di tale attività il lavoratore ha subito un’esposizione ad amianto, con conseguente insorgenza della patologia dell’asbestosi, che lo ha portato al decesso in data 2.8.2014.

La convenuta eccepisce preliminarmente la prescrizione dei diritti vantati e l’inammissibilità della domanda di automatico riconoscimento del danno biologico differenziale, stante l’applicazione ratio temporis dell’art. 13 D. Lgs. 38/2000 che ha inserito il danno biologico nella copertura assicurativa pubblica, con conseguente esonero da responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 10 TU 1124/65. Nel merito, contesta la responsabilità per la morte del lavoratore evidenziando che non vi era divieto normativo per utilizzo di amianto sino al 1992, non vi era dispositivo di protezione individuale idoneo alla protezione dalle fibre di amianto, non vi era consapevolezza della pericolosità dell’amianto.

Il Tribunale ritiene il ricorso fondato.

In via preliminare, con riferimento all’eccezione di prescrizione, viene rilevato che per i danni iure proprio, trattandosi di responsabilità extracontrattuale trova applicazione la prescrizione quinquennale, mentre per i danni iure hereditatis, trattandosi di responsabilità contrattuale per violazione dell’art. 2087 c.c., si applica la prescrizione decennale.

Nel caso di specie, risulta correttamente interrotta la prescrizione quinquennale per il danno jure proprio.

Per quanto riguarda il danno jure hereditatis, invece, è intervenuta la prescrizione.

Il danno iure hereditatis è stato determinato dalle lesioni e non dalla morte del lavoratore per asbetosi polmonare, sicché non è applicabile a tale danno il raddoppio dei termini prescrizionali previsto dall’art. 157 c.p., come riformulato dall’art. 6 comma 1 legge 251/2005 e in vigore dall’8.12.2005.

Ciò posto, riguardo all’esonero di responsabilità invocato dal datore di lavoro,  l’eccezione può valere unicamente per le voci di danno soggette a copertura INAIL, ossia per alcuni aspetti del danno iure hereditatis, non invece per il danno causato a terzi per lesione del vincolo parentale, laddove, non essendoci copertura INAIL, non può applicarsi la regola dell’esonero. Conseguentemente, ritenuto prescritto il danno iure hereditatis l’eccezione deve ritenersi assorbita.

In caso di danno biologico, i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro verificatisi, nonché a malattie professionali denunciate a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3, l’INAIL nell’ambito del sistema d’indennizzo e sostegno sociale, in luogo della prestazione di cui all’articolo 66, primo comma, numero 2), del testo unico, eroga l’indennizzo previsto e regolato dalle seguenti disposizioni:

a. le menomazioni conseguenti alle lesioni dell’integrità psicofisica di cui al comma 1 sono valutate in base a specifica “tabella delle menomazioni”, comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali. L’indennizzo delle menomazioni di grado pari o superiore al 6 per cento ed inferiore al 16 per cento è erogato in capitale, dal 16 per cento è erogato in rendita, nella misura indicata nell’apposita “tabella indennizzo danno biologico”. Per l’applicazione di tale tabella si fa riferimento all’età dell’assicurato al momento della guarigione clinica. Non si applica il disposto dell’articolo 91 del testo unico;

b. le menomazioni di grado pari o superiore al 16 per cento danno diritto all’erogazione di un’ulteriore quota di rendita per l’indennizzo delle conseguenze delle stesse, commisurata al grado della menomazione, alla retribuzione dell’assicurato e al coefficiente di cui all’apposita “tabella dei coefficienti”, che costituiscono indici di determinazione della percentuale di retribuzione da prendere in riferimento per l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali, in relazione alla categoria di attività lavorativa di appartenenza dell’assicurato e alla ricollocabilità dello stesso. La retribuzione, determinata con le modalità e i criteri previsti dal testo unico, viene moltiplicata per il coefficiente di cui alla “tabella dei coefficienti”. La corrispondente quota di rendita, rapportata al grado di menomazione, è liquidata con le modalità e i criteri di cui all’articolo 74 del testo unico.”

Orbene, l’inserimento del danno biologico nella copertura assicurativa INAIL non esclude la responsabilità del datore di lavoro né per il danno complementare in caso di provata responsabilità civile, non operando in tali casi l’esonero di cui al citato art. 10, in quanto non si tratta di voci di danno coperte dall’assicurazione obbligatoria, né per il danno differenziale nell’ipotesi di riscontrata responsabilità penale.

Venendo al merito della controversia, i ricorrenti hanno fornito prova sufficiente dell’inadempimento del datore di lavoro all’obbligo sancito dall’art. 2087 c.c. e della conseguente insalubrità dell’ambiente di lavoro per sussistenza di esposizione all’amianto, del nesso causale tra tale esposizione e del danno subito consistente nell’asbestosi polmonare che ha portato al decesso, mentre nessuna prova liberatoria è stata fornita dal datore di lavoro ai sensi del combinato disposto degli art. 1218 e 2087 c.c.

Le testimonianze svolte hanno confermato che durante l’attività lavorativa presso il cantiere navale il lavoratore era stato a contatto con l’amianto per le specifiche mansioni a lui assegnate, dovendo tagliare le paratie coibentate con amianto a spruzzo per svolgere le attività di tubista e montatore, a volte forando anche fogli in amianto per realizzare le guarnizioni.

Il CTU ha rilevato che “secondo il parere aggiunto redatto dall’Inail, sede di Ancona, datato 10 novembre 2004,  vi è evidenza di lavorazioni con impiego di prodotti contenenti amianto nel periodo successivo al 1986. Nella fattispecie, si specificavano operazioni di saldatura automatica ad arco sommerso con tecnica one-side su supporto FAB 1, il quale si componeva di vari materiali, tra cui anche un film composto da tessuto di amianto”.

Alla luce di ciò, tenuto conto che il lavoratore ha prestato attività lavorativa dal 1956 al 1993, viene ritenuto accertato il contatto con polveri di amianto sia per l’attività specifica

svolta sia per l’esposizione ambientale diffusa dovuta alla presenza di lavoratori addetti a diverse mansioni, anche comprendenti la manipolazione di amianto, nello stesso luogo, e alla rimozione delle polveri di lavorazione dai luoghi e dalle tute di lavoro con metodi che favorivano il diffondersi delle polveri anche in presenza degli operai o da parte di questi stessi.

Pacifica, pertanto, l’esistenza di un’esposizione professionale all’amianto almeno trentennale e conseguentemente pacifica l’esistenza del nesso di causa tra l’asbestosi polmonare.

Concludendo, la società datrice di lavoro viene condannata a risarcire il danno iure proprio causato ai ricorrenti, quantificato in oltre seicentomila euro.

Avv. Emanuela Foligno

Amianto: Esposti

Denunciavo l’amianto nella sede delle Poste e dopo 20 anni sto morendo per un cancro”

Il dramma di un ex sindacalista: lavoravamo a pochi metri dal “saccaio”, il vecchio magazzino-deposito dove erano state stoccate le fibre

Amianto, ex dipendenti di Isochimica chiedono aiuto a Mattarella

Dopo giudizio penale risarcimenti fermi da cinque anni

ANSA)- AVELLINO, 3 LUG- “Quella che si era prospettata come un’occasione di riscatto e di stabilità per le nostre famiglie, si è trasformata in un incubo”.

È uno dei passaggi contenuti nella lettera che quattro ex scoibentatori dell’Isochimica di Avellino hanno inviato al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con la richiesta di essere ricevuti al Quirinale.

“Ex infermiere morto per esposizione all’amianto”, nessun risarcimento alla famiglia

Anche la Corte d’Appello di Firenze respinge il ricorso degli eredi dell’ex lavoratore all’ospedale psichiatrico

Nessun risarcimento ai familiari dell’uomo morto per fibrosi polmonare che lavorava all’ex ospedale psichiatrico di Maggiano. Anche la corte d’Appello di Firenze ha respinto le istanze della figlia e della moglie che avevano chiesto il risarcimento danni per esposizione all’amianto che a loro dire avrebbe poi causato prima la malattia e poi la morte del congiunto.

Amianto : Sentenze

Firenze, operaio si ammala per amianto ma è costretto a lavorare per anni: ora il tribunale obbliga l’Inps a mandarlo in pensione

La sentenza permetterà all’uomo di anticipare il pensionamento per curarsi. È stato dimostrato che l’esposizione è avvenuta nelle centrali geotermiche dove prestava servizio

Il Tribunale di Firenze ha condannato l’Inps a concedere a un operaio senese, impiegato come addetto agli impianti di manutenzione Enel di Castel del Piano, in provincia di Grosseto, i benefici amianto che gli consentiranno di andare in pensione prima del tempo previsto perché ha contratto una patologia legata all’esposizione ad amianto.

La legge prevede che chi è stato esposto all’asbesto durante la via lavorativa e abbia contratto una qualsiasi patologia legata all’amianto possa andare in pensione prima del tempo, secondo un calcolo stabilito.

Amianto: Ferrovie dello Stato

Esposizione all’amianto durante il lavoro, ex dipendente Ferrovie ottiene maxi risarcimento

Il caso del cittadino di San Prisco apre la strada a una maggiore tutela e giustizia per i lavoratori esposti alle fibre di amianto”

Un dipendente di San Prisco, C.A., che ha lavorato per le Ferrovie dello Stato dal 1970 al 1993 in qualità di capo reparto e capo tecnico, si è trovato di fronte a un rifiuto da parte dell’Inps per la ricostruzione della sua pensione. Questa pensione, accumulata come prepensionamento volontario, gli è stata negata a causa dell’esposizione alle fibre di amianto, considerata dannosa per la salute secondo la legge.

Non volendo accettare questa decisione ingiusta, C.A. ha deciso di agire legalmente e si è rivolto all’avvocato Domenico Carozza per ottenere giustizia. Insieme, hanno presentato una denuncia presso la Corte dei Conti di Napoli, richiedendo una revisione del caso. La Corte dei Conti ha preso in considerazione una consulenza tecnica fornita dal C.M.L. (Centro Militare di Medicina Legale) presso il Ministero della Difesa, una sezione specializzata presso la Corte dei Conti.

Basandosi sulla consulenza tecnica, la Corte dei Conti ha ritenuto che C.A. avesse subito un’esposizione “qualificata” all’amianto durante il suo lavoro, confermando il rischio per la sua salute. Di conseguenza, l’INPS è stato condannato a ricostruire la sua pensione nel rispetto delle percentuali previste dalla legge. Ciò significa che a C.A. saranno corrisposte le differenze retributive derivanti da questa riliquidazione, permettendogli di ottenere ciò che gli spetta

Amianto :Sentenze

Pompiere ucciso dall’amianto della tuta: lo stato risarcirà la famiglia

L’amianto contenuto nell’attrezzatura dei vigili del fuoco dal 1967 al 1992 ha causato numerose vittime per cancro. L’uomo è morto nel 2008 dopo 30 anni di carriera

Era un pompiere, era l’orgoglio della sua famiglia. Dal 1967, per quasi 30 anni, aveva portato una divisa che lo faceva sentire un supereroe. Salvava vite, contrastava le emergenze: per quella tuta ha dato tutto, e ignorava che l’amianto della sua divisa ignifuga lo avrebbe portato alla morte. Nel 2008, dopo quasi 30 anni di carriera, è deceduto per cancro. Giovedì gli eredi, dopo quasi sette anni di battaglia legale, hanno vinto il ricorso al Tar della Lombardia e riceveranno un «equo indennizzo».

I giudici del Tar hanno dichiarato che il cancro, scoperto nel 2006 per alcune difficoltà respiratorie, sia stato conseguenza diretta del contatto con le polveri di amianto sprigionate dalle divise ignifughe durante lo spegnimento dei tanti incendi che l’uomo ha contrastato. Se lo è portato via un mesotelioma pleurico, lo stesso male che ha ucciso almeno 58 pompieri in tutta Italia dal 1993 a oggi.

Una strage dimenticata causata dagli indumenti che avrebbero dovuto proteggere questi uomini. Dal 1967 la fibra di amianto è stata largamente utilizzata nei guanti e nei mantelli dei pompieri. Nel 1986 il ministero dell’interno ha iniziato a sostituire i materiali fino a vietare del tutto l’utilizzo dell’amianto nel 1992.

Il Tar della Lombardia ha dato ragione agli eredi, obbligando il ministero dell’Interno ha indennizzare la famiglia con una sentenza in linea con quelle pregresse. La prima vittoria è andata a segno nel 2010. Dopo la morte di un ex vigile del fuoco spezzino di 72 anni, causata dal mesotelioma, il tribunale di Genova ha obbligato lo stato a risarcire 600mila euro.

Amianto:Sentenze

Morto per amianto in navi Marina, risarciti familiari

Il militare di Augusta aveva 68 anni. Corte d’appello di Catania conferma condanna dei ministeri

CATANIA – La Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza di condanna dei ministeri della Difesa e dell’Interno a riconoscere vittima del dovere il motorista navale Salvatore Arcieri. Arcieri, di Augusta, in provincia di Siracusa, si è arruolato nel 1957 all’età di 16 anni in Marina dove ha svolto servizio per 6 anni, si è imbarcato sulle navi “Mitilo”, “Chimera” e “Vittorio Veneto” per più di 15 mesi. Il motorista è morto nel 2009 all’età di 68 anni a causa di un mesotelioma pleurico per l’esposizione ad amianto, con il quale è stato a contatto negli anni di servizio presso la marina militare.

Amianto, condannati per omicidio colposo gli ex manager della Montefibre di Verbania

Al termine del processo-ter, la Corte d’Appello di Torino ha condannato per omicidio colposo Giorgio MazzantiBruno Quaglieri e Gianluigi Poletti, gli ex manager della Montefibre (azienda chimica del gruppo Montedison fallita nel 2018) imputati per le morti da amianto nello stabilimento di Verbania. Riconosciute le attenuanti generiche, i giudici hanno inflitto un anno di carcere a Mazzanti, ritenuto responsabile di cinque decessi, e 11 mesi ciascuno a Quaglieri e Poletti, condannati solo per quattro di questi: tutti e tre sono incensurati e perciò beneficeranno della sospensione condizionale della pena, che non dovranno scontare. Dichiarate prescritte, invece, le accuse di omicidio nei confronti di altre sette persone. Estinti anche i reati contestati a Luigi Ceriani e Carlo Vannini, gli altri due imputati originari, nel frattempo deceduti.