Operaio del petrolchimico ucciso dall’amianto: riconosciuto risarcimento da 200mila euro
Il tribunale di Brindisi ha accolto il ricorso degli eredi di un uomo morto per un carcinoma al polmone. Nel 2012 c’era già stata una prima sentenza che riconosceva il nesso causale fra malattia ed esposizione alle sostanze nocive
BRINDISI – Il tribunale di Brindisi ha riconosciuto un risarcimento danni pari a 200mila euro agli eredi di un operaio brindisino che per più di 20 anni ha lavorato a contatto con le polveri di amianto, all’interno del petrolchimico di Brindisi. La sentenza emessa lo scorso 28 febbraio dal giudice del lavoro, Piero Primiceri, segna un nuovo e importante capitolo di una lunga vicenda giudiziaria già approdata nel 2012 a un primo giudizio che aveva accertato e dichiarato la responsabilità della società datrice per la malattia contratta dal lavoratore, riconoscendo il diritto dei ricorrenti al risarcimento di tutti i danni conseguiti.
La società in questione è la “Santino& Mario Beraud Spa”, sottoposta a procedura fallimentare tuttora pendente. Il lavoratore che purtroppo ha perso la vita a causa di un carcinoma polmonare e di asbestosi è il signor M. A. Dopo la morte del loro caro, i familiari del congiunto, assistiti dall’avvocato Giuliano Grazioso, hanno portato avanti la battaglia legale nell’ambito della causa intentata contro gli eredi degli amministratori della società e del direttore tecnico del cantiere della stessa società, all’epoca operante all’interno del petrolchimico di Brindisi. Questi ultimi sono stati citati in giudizio come corresponsabili della malattia professionale che ha causato la morte di M. A.
L’operaio aveva lavorato alle dipendenze della “Santino& Mario Beraud Spa” dal 1963 al 1985 come sabbiatore, spruzzatore, verniciatore, spatolatore e pulitore meccanico. In quegli anni era stato continuativamente esposto alle polveri di amianto aerodisperse ed ai solventi sintetici ed epossidici, alle trieline per lavaggi, ai diluenti poliuretanici, alle vernici a base di piombo, epossidiche e poliuretaniche; tutte sostanze altamente nocive. Tale esposizione, come già accertato nel 2012 dal tribunale di Brindisi, aveva provocato la grave malattia, già diagnosticata nel 2005, e che pochi mesi dopo avrebbe causato il decesso del lavoratore.
La precedente sentenza di condanna della società datrice di Lavoro (confermata sia dalla Corte di Appello di Lecce sia dalla Corte di Cassazione) al risarcimento danni in favore dei familiari del defunto, venne emessa sulla base di una perizia medico-legale che aveva accertato il nesso causale fra la malattia letale e l’esposizione alle sostanze nocive. Ma la Spa versava in una difficile situazione economica. La sentenza del 2012 divenne di fatto ineseguibile, a causa dell’insolvenza della società.
Questo ha costretto gli eredi ad adire nuovamente le vie legali nei confronti degli ex amministratori e del responsabile di cantiere. Nelle more del giudizio, l’avvocato Grazioso, per conto dei suoi assistiti, ha contestualmente depositato un ricorso dinanzi al tribunale di Biella, allo scopo di ottenere la dichiarazione di fallimento della società.
“Nell’ambito della procedura concorsuale – afferma Giuliano Grazioso – è stata avviata ulteriore azione di responsabilità nei confronti di due membri dell’organo amministrativo della fallita, perché attraverso operazioni finanziarie straordinarie e discutibili, compiute parallelamente allo svilupparsi dei contenziosi contro la Santino & Mario Beraud, la stessa società aveva proceduto alla liquidazione dell’intero patrimonio in danno dei creditori sociali”.
Il ricorso presentato dagli eredi è stato definito con la sentenza del 28 febbraio, che condanna il direttore di cantiere al pagamento della somma di 200mila euro, corrispondente alla sua quota di responsabilità rispetto alla maggiore somma liquidata a suo tempo dal giudice Domenico Toni.
“Ebbene, nella fattispecie in esame, dalla documentazione in atti e dall’istruttoria espletata – scrive il giudice Primiceri – devono ritenersi sufficientemente provate le mansioni svolte dal lavoratore, le modalità di esecuzione delle stesse e la nocività dell’ambiente dovuta principalmente al contatto quotidiano, in relazione alle mansioni svolte, con sostanze cancerogene estremamente volatili rispetto alle quali andavano adottate particolari precauzioni e misure di sicurezza igienico-ambientali, delle quali il datore di lavoro non ha fornito prova”.
Amianto nel Polo Petrolchimico Siracusa: la Corte di Cassazione accoglie il ricorso di Salvatore Patania contro l’INPS
Ingiusto il rigetto dei benefici contributivi – Un nuovo spiraglio di giustizia per tutti i lavoratori del petrolchimico.
27 marzo 2024 – Il caso, speculare a quello di Calogero Vicario e degli altri lavoratori delle Industrie Meccaniche Siciliane, è quello del lavoratore Salvatore Patania, che ha lavorato al Polo Petrolchimico Enichem di Priolo Gargallo nel siracusano con la mansione di operaio montatore. Nello specifico ha lavorato alle dipendenze di Siciltecnica Srl per 14 anni e di C.L.A.I Srl per un anno. Nello svolgimento delle sue mansioni lavorative è stato esposto alle fibre e polveri di amianto, ma non era consapevole dei rischi. Solo dopo essere andato in pensione, l’uomo, a cui nel frattempo era stata diagnosticata una “nodulità polmonare”, assieme ai suoi colleghi, fu informato circa l’esposizione alla fibra killer e ha fatto richiesta dei benefici contributivi per esposizione amianto all’INAIL di Siracusa che ha riconosciuto l’esposizione, ma ha respinto la domanda, unitamente all’INPS, perché l’esposizione risultava inferiore ai dieci anni previsti dalla legge.
Da qui, i vari ricorsi in tribunale durante i quali il CTU del lavoratore accerta che fu esposto per un periodo di 14 anni e che quindi avrebbe potuto godere dei benefici amianto.
Nei giudizi, però, sulla base di una CTU tecnico ambientale che aveva riconosciuto una esposizione inferiore ai 10 anni, il ricorso dell’operaio viene rigettato sia dal Tribunale di Siracusa, che dalla Corte di Appello di Catania, che ne ha dichiarato l’inamissibilità.
La sentenza è stata impugnata, perché illegittima, dall’Avv. Ezio Bonanni, legale dell’uomo e Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, che è riuscito a ribaltare le due precedenti decisioni ottenendo ragione della Corte di Cassazione che nel dispositivo ha rilevato: “la pronuncia non terrebbe conto dei documenti che dimostrano il superamento della soglia di 100 fibre litro per l’intero periodo di lavoro, anche dopo il 31 dicembre 1992”, stabilendo così il principio che, per poter determinare il termine ultimo di esposizione all’amianto, non si deve tener conto dell’entrata in vigore della L. 257/92, quanto piuttosto della reale condizione lavorativa, e quindi della data delle bonifiche (che in questo caso furono effettuate solo successivamente all’emanazione della legge), dell’impiego operativo, e delle misure di sicurezza, ha disposto un nuovo giudizio in Corte di Appello di Catania