Amianto nei nastri della fabbrica, risarcita la famiglia di un operaio spezzino
Il tribunale di Genova ha condannato Ansaldo Energia Spa al risarcimento da 620mila euro in favore della vedova e della figlia dell’elettricista scomparsoGian Paolo Battini
Operaio foggiano morto per l’amianto: Rfi condannata a risarcire 1,3 milioni di euro ai familiari
Amianto nelle Ferrovie dello Stato: il Tribunale di Roma condanna RFI al risarcimento di 850mila euro per la morte di un operaio foggiano. Alla famiglia andrà una liquidazione complessiva di 1 milione e 300mila euro
n esito giudiziario “apripista” di grande rilevanza, quello di un uomo esposto all’amianto mentre era alle dipendenze di Rfi presso le Officine Grandi Riparazioni di Foggia, deceduto per un mesotelioma epitelioide. Il Tribunale di Roma ha emesso una ulteriore condanna che determina una liquidazione del danno da lutto di circa 850mila euro, oltre interessi, per le sofferenze subite dalla vedova e, che nel frattempo è deceduta, e dai due figli orfani dell’operaio.
Una somma che si aggiunge alla quella determinata nella precedente sentenza della Corte di Appello di Roma di circa 200mila euro per il risarcimento del danno diretto del ferroviere che, con il calcolo della rivalutazione e degli interessi legali, raggiunge un importo complessivo di un milione e trecentomila euro.
Nel caso specifico, il dipendente ha prestato servizio in Rfi dal 1969 al 1971 con mansioni di operaio qualificato “aggiustatore meccanico”. Si è occupato della manutenzione dei rotabili ferroviari, motori, tubazioni, cavi elettrici respirando direttamente e indirettamente le sottilissime fibre killer. I locali erano privi di aerazione, le lavorazioni venivano eseguite senza l’adozione di alcuna misura di sicurezza, pur essendo disponibili, sin dagli anni ’40, mascherine, tute protettive e aspiratori.
Quel che è peggio, è che venivano utilizzati dei soffiatori per togliere la polvere, che tuttavia finivano inevitabilmente per disperderla nell’aria. Nel 2006, l’operaio aveva avuto un primo versamento pleurico, e il 28 marzo 2009 è purtroppo, deceduto all’età di 68 anni, lasciando la moglie e i due figli. L’Inail aveva fin da subito accertato l’origine professionale della malattia e costituito in favore della vedova la rendita ai superstiti.
La famiglia dell’uomo, assistita dagli avvocati Ezio Bonanni, presidente Osservatorio Nazionale Amianto, e Daniela Lucia Cataldo, aveva quindi presentato ricorso al Tribunale di Roma per ottenere il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali. Ma nonostante l’Ona avesse già ottenuto altre condanna delle Ferrovie (qui un altro caso analogo nel Foggiano), nel caso di specie l’azienda aveva contestato la pretesa, spiegando che: “solo a partire dalla metà degli anni ’70 vi è stata la presa di coscienza circa la pericolosità della esposizione a fibre in amianto”.
In primo grado, la giudice del Tribunale di Roma Antonella Casoli, basandosi su un’ampia letteratura medico scientifica, la magistratura aveva tuttavia respinto le eccezioni di Fs. Il Ctu nominato dal Tribunale aveva quantificato il danno biologico subito per oltre 200mila euro a beneficio dei familiari dell’operaio, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali. Oggi, la condanna anche in secondo grado della Corte d’Appello di Roma.
“Purtroppo la storia della Officine Grande Riparazioni della Ferrovie è caratterizzata dalla strage di lavoratori per mesotelioma e altre malattie di amianto, che in qualche caso hanno colpito anche i familiari”, spiega dall’Ona. Il VII Rapporto ReNaM, infatti, ha inserito il settore dei rotabili ferroviari tra quelli che hanno riscontrato più casi di mesotelioma. “Dopo l’ennesima e duplice pronuncia di condanna si spera che le FS, invece interporre appelli e cercare di ritardare i risarcimenti, desistano dal negare il diritto di tanti che hanno perso la vita per l’uso dell’amianto. Purtroppo – avvisa Bonanni – il picco epidemiologico ci sarà nei prossimi anni”.
Amianto, militare morto di cancro. Il Ministero dovrà risarcire i familiari
Il Tar ha dato ragione agli eredi di un carabiniere che aveva lavorato all’aeroporto di Cervia e all’Ocra di Forlì
Era morto a 49 anni, esattamente 685 giorni dopo avere ricevuto una diagnosi di carcinoma polmonare. Una malattia professionale – secondo il Tar – maturata in uno degli anni della trentennale carriera in cui l’uomo – un carabiniere deceduto nel luglio del 1981 – aveva prestato servizio in ambienti potenzialmente contaminati da polveri di fibre di amianto: vedi Stazione carabinieri aeroporto di Cervia, posto fisso 2° Ocra di Forlì (si trattava di officine meccaniche). E poi ancora porto di Civitavecchia e aeroporto di Ciampino. Uguale a condanna del ministero della Difesa a risarcire gli eredi (la vedova e i figli) con circa 247 mila euro, detratto quanto eventualmente già riconosciuto come indennizzo. Il ministero dovrà pagare inoltre 5.363 euro di spese processuali.
La questione era stata sollevata nel 2021 dagli eredi del defunto tutelati dall’avvocato Ezio Bonanni. Nel ricorso presentato al Tar del Lazio, si chiedevano i danni patrimoniali e non per un totale di poco più di 2,4 milioni di euro in ragione della morte del militare per “causa di servizio” legata a “negligenza e imperizia” del ministero della Difesa/Arma dei Carabinieri. All’indice in particolare c’erano finite le fibre di amianto alle quali il 49enne, secondo il ricorso, era stato esposto durante il suo servizio. Nel dettaglio tra il giugno 1955 e il marzo 1957 al porto di Civitavecchia; tra il luglio 1969 al settembre 1970 aeroporto di Cervia e Ocra di Forlì; e quindi fino all’ottobre 1975 all’aeroporto di Ciampino. Perché è in special modo in porti e aeroporti che vi era una “elevata aerodispersione” di “polveri e fibre d’amianto“, materiale che veniva usato “nei ceppi freni”. E poi il militare era costretto “a lavorare in ambienti angusti” con “amianto spruzzato sulle pareti per evitare rischio incendi”. Ad aggravare il quadro, il fatto che non vi fossero “strumenti di prevenzione tecnica e protezione individuale” come “maschere respiratorie con grado di protezione P3”. Oltre a tali strumenti, il ministero avrebbe omesso di fornire le informazioni circa il rischio da amianto e la conseguente sorveglianza sanitaria: un comportamento che avrebbe quanto meno anticipato l’insorgenza del tumore e il decesso del 49enne. Le prime misure di sicurezza in favore dei militari sarebbero infatti state adottate solo nel 2000 sebbene la pericolosità dell’amianto fosse nota dagli inizi del ’900.